Ci sono personaggi che riescono a riunire in se stessi idee, mode culturali e temi decisivi del proprio tempo, e anzi sono proprio loro a esserne protagonisti e propulsori. Roberto Bazlen. Forse non è propriamente questo il nome che viene in mente se si dovesse pensare a uno di tali personaggi. Se dicessimo invece Adelphi, o movimento psicoanalitico, o nominassimo Saba, Svevo, Montale, allora sapremmo riconoscere in questi nomi un'eccellenza acclarata e indiscussa, nell'importanza che detengono nella storia culturale e letteraria. Ebbene, Roberto Bazlen, o Bobi - il diminutivo con cui è sempre stato chiamato - riunisce in sé tutta quella storia.

Cristina Battocletti ne ha scritto una brillante biografia, che fa luce su un personaggio chiave della cultura italiana del Novecento. L'incipit di tutto è Trieste, presente anche nel sottotitolo del libro (Bobi Bazlen. L'ombra di Trieste, edizioni La nave di Teseo, 2017). Questa città di frontiera, un po' regno di Kakania e un po' sconosciuta, così decentrata sulla carta geografica, quasi “straniera” eppure così importante per il patriottismo italiano, è il crocevia storico e culturale in cui Bobi nasce nel 1902. Trieste si nutre di quella cultura così cosmopolita e ricca di esperienze, novità che arrivano da Vienna e dall'intero impero absburgico, sotto il cui potere allora si trovava.

Figlio di un'agiata famiglia ebrea, Bobi resta presto orfano di padre e viene allevato dalla madre e due zie; in questo ambiente femminile ovattato e iper-protettivo, cresce con una vorace passione per la lettura, diventando padrone di una vasta cultura ed esperienza di scrittura che gli permettono, ancora giovane, di lanciare poeti e scrittori come Umberto Saba, Italo Svevo, Stelio Mattioni. È una specie di demiurgo, un maieuta che trasforma gli scritti che gli vengono sottoposti in opere letterarie di cui perora, testardamente, la pubblicazione - a volte anche obbligando l’autore, come per esempio con il povero Mattioni trasformato in scrittore quasi, potremmo dire, a sua insaputa. Bobi è un editor formidabile, uno dei più grandi che l’editoria italiana abbia avuto, tanto da far dire a Einaudi che “non ne sbagliava una”. La “prima voltita” è una caratteristica che Bobi cercava nelle opere, cioè la scoperta quasi primigenia di un qualcosa che pareva fosse scritta per la prima volta, o forse qualcosa di solito ma detto con un’aura diversa, di novità, appunto, di mai detto. Ha fiuto, ed anche il carattere per portare avanti le sue scelte: è una specie di psicopompo che riesce a far emergere l’anima stessa dello scrittore.

Per Bazlen le coincidenze non erano mai casuali (possedeva un taccuino in cui le annotava tutte), e si affidava molto al caso perché, secondo lui, solo per caso si incontrano le “sirene, cioè il bello e il buono che ci possono capitare”. Intanto iniziò pioniere in Italia, un iter di terapia psicoanalitica, prima freudiana e poi junghiana, che portò avanti per anni, lanciando la psicanalisi e gli scritti di Freud in una Italia provinciale, ancora incapace di recepire nuove teorie di tal genere. La giovinezza la trascorse con un gruppo di amici che lui considerò quasi come fossero libri, quindi a volte da correggerne le vicende personali e amorose, con invasioni di campo come se le loro vite fossero pagine scritte (fu causa di molteplici separazioni tra le coppie a lui vicine, mestatore e pettegolo qual era), ma fu generoso sempre dei suoi averi che divideva con tutta la compagnia, con cui trascorreva il tempo alle osterie tra bevute e mangiate, con il wiz, lo spirito ironico della mitteleuropa a condire la compagnia.

A 32 anni Bazlen lascia Trieste definitivamente, lavorando sempre girovago con varie case editrici, poi approda a Roma, dove vivrà anni intensi di lavoro e povertà. Bisogna dire di Adelphi, la casa editrice di culto da lui fortemente voluta e a cui ha dato un’impronta di sé fortissima, il lascito di una vita di erudizione e curiosità. Basta leggerne il catalogo per capirne l’originale indirizzo: orientalismo, delle cui discipline fu appassionato, romanzi della Mitteleuropa, saggi raffinati, tra tutti Il libro dell’Es, opera birichina come fu lui, che fece conoscere lo psicoanalista eretico George Groddek come alternativa all’ortodossia freudiana.

A Milano, nel 1962, si spense. In un ambiente come quello della cultura italiana dei suoi tempi, spesso asfittica e limitata, il suo spirito mercuriale soffiò per portare idee e respiro nuovo.

Aggiornato il 01 giugno 2018 alle ore 13:05