“Nome di donna” ovvero il film-manifesto contro gli abusi

Le molestie sessuali sul luogo di lavoro. È il tema, attualissimo, di “Nome di donna”, il film interpretato da Cristiana Capotondi e diretto da Marco Tullio Giordana, presentato al cinema Rouge et Noir di Palermo.

“In Sicilia – ha detto l’attrice – il matriarcato è fortemente presente. E credo che la donna dentro casa abbia un grande potere. Ma è anche vero che proprio all’interno delle mura domestiche si consumino gravissime violenze. In tal senso è necessario che il processo di cambiamento parta dall’interno”.

L’attrice romana nel film dà il volto a Nina Martini, una giovane donna che cerca lavoro e fortuna nella Brianza, dove si trasferisce con la propria bambina. Trova lavoro in una residenza per anziani. La professionalità e lo zelo vengono premiati dall’assunzione e da una rinnovata tranquillità.

Ma la vita serena viene alterata dalle avance sessuali e dall’abuso di potere del direttore della struttura. La donna è decisa a denunciarlo. Ma deve fare i conti con l’omertà delle colleghe e la prepotenza di un sistema anacronistico e dispotico.

Nina appare la sorella ideale del Peppino Impastato dei “Cento passi” e dei fratelli Carati della “Meglio gioventù”. La sua missione risiede nella rottura dell’omertà. Il film dimostra la propria inevitabile urgenza.

E, dopo il caso Weinstein, assume una chiara funzione di film-manifesto. Mai più conniventi. Mai più silenti. L’abuso dell’orco va denunciato. Sempre.

Aggiornato il 03 maggio 2018 alle ore 17:56