Siamo alla seconda tappa: dopo la Città Eterna, si guarda a tutta la Penisola con “Ritratto di una Nazione - l’Italia al lavoro”, venti quadri teatrali dalle regioni del Paese, la cui prima parte andrà in scena dall’11 al 16 settembre al Teatro Argentina. Ne parliamo con il direttore del Teatro di Roma Antonio Calbi che, insieme al regista Fabrizio Arcuri, è ideatore del progetto.
Qual è il percorso intrapreso?
Nel 2014, quando sono diventato direttore, considerando il teatro l’arte sociale per eccellenza, una specie di parlamento, abbiamo deciso di usarlo per ritrarre il nostro momento storico. Nacque così “Ritratto di una Capitale”: convocammo 24 autori, chiedendogli di raccontare altrettante storie nei luoghi e nella giornata della città. Ne sortì fuori uno spettacolo molto forte, dolente, che anticipava tutto quel processo che va da “Mafia Capitale” al decadimento complessivo vissuto negli ultimi anni. Questo per dire che gli artisti hanno delle sonde speciali, che vanno in profondità, e delle antenne che captano, forse prima di noialtri, quello che sta accadendo. Perciò, attraverso il ritratto teatrale, “format” che è una creazione collettiva multidisciplinare, decidemmo di connotare le nostre stagioni con 4 ritratti: nel 2019 ci sarà “Profezie dall’Europa”, con cartoline teatrali che saranno inviate a Roma per capire a che punto è l’Unione oggi, per chiudere poi con “Sinfonia del Mondo”, altra maratona teatrale da 24 capitali del Pianeta.
Questo capitolo due?
Per raccontare l’Italia, attraverso le regioni, certo non potevamo fare un ritratto a tutto tondo, per cui abbiamo deciso di indicare agli autori il tema più scottante, quello del lavoro: perduto, mai trovato, la più alta disoccupazione giovanile d’Europea, una leadership nel mondo industriale che non abbiamo più, come anche nel “made in Italy”, con la moda che ormai è in mano agli stranieri, poi la telefonia e i collassi di Alitalia e Atac. Insomma, il disastro. La durata sarà di 5 ore, perché ogni pezzo è da 20-30 minuti. Racconteremo 9 regioni, più il prologo - “Risultato da lavoro” - scritto apposta per noi dal premio Nobel per la Letteratura Elfriede Jelinek, e “Meccanicosmo”, opera di Wu Ming 2 e Ivan Bentrari, sulle lotte sindacali che poi hanno dato il “la” alla nascita dei primi contratti nazionali.
I criteri, nella scelta dei nomi?
Arcuri è il regista di riferimento del Teatro di Roma nel corso della mia direzione, insieme a me aveva già costruito “Ritratto di una Capitale”, quindi c’è una continuità, come anche con i due videoartisti Luca Brinchi e Daniele Spanò per le scenografie virtuali e i Mokadelic - già autori della colonna sonora della serie tv Gomorra - per la musica dal vivo. Roberto Scarpetti, nostro drammaturgo di riferimento, ci serviva per omogeneizzare e ritoccare, quando necessario, i testi che compongono questo polittico, nuova epica di una Nazione. Per il resto, come per il progetto precedente, abbiamo mescolato drammaturghi, scrittori e cronisti, giornalisti magari specializzati nel campo. Il criterio è stato: tutte le generazioni e la maggior pluralità possibile tra gli autori, in modo da avere punti di vista, poetiche, linguaggi differenti. Oltre al tema, come indicazioni abbiamo dato loro la misura del tempo e il ricorso a pochi personaggi, perché economicamente sarebbe altrimenti risultato un piccolo “colossal” insostenibile.
Le sue impressioni, sui risultati di tale mosaico?
La prima cosa che devo precisare è che lo consideriamo un abbozzo, perché intorno al “lavoro” i temi sono talmente grossi che non si possono affrontare, o risolvere, in così poco tempo. Ci siamo ripromessi che - dalla fine delle repliche al debutto finale la prossima estate, con lo spettacolo completo di 10 ore - sicuramente ci sono delle cose da perfezionare. Ne voglio già dire alcune: manca la disoccupazione giovanile, la perdita del nostro patrimonio industriale (Fiat, Italsider, Ilva), gli imprenditori che si suicidano per il fallimento delle loro aziende, la debolezza della politica, la nuova tensione del sindacato a ridefinirsi, il disastro della finanza; proprio a questo proposito, alla Toscana sarà ovviamente dato il compito di realizzare un racconto attraverso il crollo del Monte dei Paschi di Siena.
Gli aspetti più convincenti?
Emerge il ritratto cupo di una Nazione frammentata, impiegata in modo diverso, a ritmi diversi, che parla lingue diverse, e dove c’è razzismo verso i nuovi migranti, che magari svolgono attività che noi italiani non vogliamo più fare. C’è il racconto di pezzi della nostra storia del lavoro - quindi delle lotte operaie e delle conquiste sindacali - e c’è molto il malessere di non averlo. Si arriva a dire: meglio il lavoro - perché c’è una dignità - seppure so che mi porterà via la salute, che sia per le polveri malefiche dell’Ilva a Taranto o per la leucemia causata da una base militare sarda. Molti pezzi sono delle sferzate che ci devono far riflettere, il nostro è un gesto culturale e politico nel senso alto, speriamo che scuota le coscienze.
Aggiornato il 07 settembre 2017 alle ore 21:15