Sta circolando in Rete “con gli occhi al muro”, un documentario collettivo sull’arte di strada nel nostro Paese, e in proposito rivolgiamo alcune domande al regista, Antonio Libutti.
Ce lo presenta?
E’ una ricognizione sullo stato della “street art” - utilizzando questa definizione in modo onnicomprensivo - in Italia: come i vari fenomeni legati ad essa siano presenti nella società e nella cultura contemporanea, e anche come vengono concepiti e fruiti. Grazie ai contributi di protagonisti, curatori e cittadinanza, è una lente d’ingrandimento su questa galassia creativa, uno spaccato del periodo dal 2014 al 2016. E’ il frutto di una collaborazione, con l’obiettivo di un lungometraggio esaustivo, comprendente gli episodi artistici più importanti del biennio. Geograficamente, c’è il “meeting of styles” di Cesano Boscone, passando per alcune “location” fondamentali dell’Emilia Romagna, come anche la scena di Reggio Emilia o Bologna; quindi Roma, con l’esperienza di MAAM, M.U.R.O e Sanba, fino al “Fame Festival” di Groottaglie, uno di quelli storici. Poi ci sono delle “chicche”: iniziative che non sono state più ripetute - come la “sagra della street art” di Vedriano - o immagini di artisti al lavoro.
Andando alle origini, a livello internazionale ci sono i “tag” della New York anni Settanta, mentre in Italia esiste una tradizione di pittura muraria, come a Orgosolo, Diamante, Sant’angelo Le Fratte.
Quando è arrivata in Italia, in ritardo, la cultura “hip hop” ha avuto una declinazione diversa, il movimento si è intersecato con i “murales”, che hanno un’origine popolare. I borghi dipinti sono circa duecento, censiti dal sito Internet www.paesidipinti.it, e hanno cercato di mantenere viva la propria identità rispetto al pericolo dello spopolamento. Se in un piccolo paese si decide di intervenire con dei murales, questo serve per dare una vitalità diversa al posto, farci entrare l’arte, in maniera pubblica, e tale tendenza creativa, espressiva, riesce a richiamare appassionati.
Si è passati dalla clandestinità notturna al riconoscimento sociale, con committenze istituzionali, spazi ampi, importanti e centrali, collaborazioni con scuole, “tour”.
Il passaggio all’avanguardia storica vale per tutti i fenomeni artistici: la carica dirompente, sovversiva, che hanno avuto movimenti come il Dada e il Surrealismo, è stata poi acquisita dalla tradizione plastica. Questo fa parte dei sistemi culturali, che tendono ad assimilare le espressioni anche più estreme, sta succedendo pure nelle forme più ribelli della street art, come gli attacchi o le mostre non autorizzate di “poster art”. La carica eversiva rimane, il “bombing” nelle metro si fa ancora, il punto è un altro: per un appassionato che osserva un graffito, ha valore che il muro sia legale o no? Io continuo ad apprezzare la tecnica e lo stile, indipendentemente dal muro.
E’ cambiato anche il rapporto con il territorio: ora gli artisti operano alla luce del sole, su impacature, confrontandosi con la cittadinanza.
E’ un rapporto affettivo, quello dell’artista con la comunità in cui si trova ad operare. Sta lì per giornate intere, diventa un elemento del quartiere. Nel documentario, abbiamo fatto la scelta di intervistare i protagonisti e “prelevare” le opinioni della gente, come nel caso del signore a Potenza indignato perchè un murales era stato scarabbocchiato: ci è sembrato opportuno osservare le reazioni.
Un momento cruciale del fenomeno è stato l’esposizione museale di parti di graffiti prelevate dai muri: poco tempo fa, ci sono stati artisti che hanno preferito distruggere le proprie opere piuttosto che vederle privatizzate, a pagamento, in un luogo chiuso.
E’ un altro tema caldo, come quello della “riqualificazione” urbana. Che la street art sia stata musealizzata è un dato di fatto, poi gli artisti scelgono di esprimersi su un muro, in un festival, in una galleria, oppure di regalare i disegni del loro “sketchbook”, o di fare come dei miei amici, che dipingevano su lamiere arrugginite per poi abbandonare i pezzi per strada, organizzando il gioco della caccia. Ci sono espressioni interessanti, soprattutto di artisti giovanissimi, il mondo della street art è in fermento perenne e in continua evoluzione, soprattutto negli ultimi anni.
L’elemento qualificante dell’arte di strada è rendere la bellezza fruibile, coprendo le brutture del cemento.
L’origine dei graffiti è preistorica, qualcuno li definiva “l’alba dell’umanità” in quanto primo segno dell’uomo sul proprio “habitat”. Anche la “tag”, oggi, fondamentalmente è questo. In un quartiere brutto, l’abitante - che magari ha già una vita difficile - si rende conto del contesto in cui vive, per cui se si fa un’iniziativa per portare un po’ di colore non dovrebbe dispiacergli, anzi. A Torpignattara, una signora mi ha tenuto mezz’ora per spiegarmi come l’artista si era arrampicato; poi magari mentre fai colazione interviene anche il barista: la bellezza è anche l’osservazione del fenomeno.
Che percorso sta facendo il documentario?
Ha il presupposto fondamentale di rimanere indipendente, si è deciso di prescindere dalle solite dinamiche distributive. Siamo sui “social network”, c’è il sito Internet www.congliocchialmuro.com, i cinque frammenti in cui è suddiviso il lavoro sono visionabili su qualsiasi supporto. Stiamo circolando soprattutto nei festival di steet art, e ci stanno chiamando pure dall’estero, dovremmo finire presto anche l’appendice europea.
Aggiornato il 14 luglio 2017 alle ore 23:14