Performance, coreografia, arte visiva, musica, dj-set, dibattiti: siamo alla 47esima edizione del Santarcangelo Festival (7-16 luglio), nel borgo romagnolo che ospita una delle più importanti manifestazioni teatrali internazionali del nostro Paese. Ce ne parla la co-curatèla, Lisa Gilardino.
Partiamo con le linee guida e una carrellata di questi dieci giorni?
È un progetto che ha una storia molto lunga, ma contiene nel suo Dna il desiderio e il coraggio di un continuo rinnovamento, è un festival multidisciplinare che offre un programma molto variegato a livello di linguaggi e formati, per tutti i tipi di spettatori. Una linea di lavoro è sugli “habitat”, spazi che abbiamo affidato agli artisti con l’idea che questi possano creare il loro programma dentro il programma, proponendone una fruizione molto libera, in cui andare e tornare a piacimento. Siamo molto eccitati e curiosi di ospitare la prima venuta in Italia di Merman Blix, un sirenetto professionista americano che avrà il suo habitat nella piscina comunale, e per gli spettatori – attraverso un piccolo “workshop” – ci sarà la possibilità di provare a nuotare con la coda da sirena. Un’altra linea mette in campo il corpo in diverse forme, attraverso il lavoro di Chiara Bersani, Silvia Gribaudi, Motus, Dana Michel, coreografa canadese che ha appena ricevuto un Leone d’Argento alla Biennale di Venezia. C’è una proposta ricca, anche con cinema e concerti nelle piazze, tutte le sere, gratuiti, il dopofestival “imbosco” in un tendone da circo in una bella radura raggiungibile a piedi dal centro del comune, dove si animeranno le notti, e la cerimonia d’apertura - il 7 luglio alle ore 23 - nello “sferisterio”, ad opera di Markus Öhrn: “Terra bruciata”, un progetto dal forte impatto spettacolare, che vedrà coinvolto un coro locale, lanciatori di “molotov cocktail” ed effetti speciali.
Oltre agli habitat, ci focalizza gli altri tratti che contraddistinguono l’edizione 2017?
Il tema del corpo è legato all’identità, alla questione del “gender”, della razza, degli stereotipi; ma c’è anche il corpo dello spettatore come esperienza diretta, dall’invito a immergersi in piscina ai punti ristoro che hanno un’attenzione particolare per un cibo di qualità, locale, e che dia energia alle notti danzanti. Infatti, il nostro “claim” di quest’anno è “energia contagiosa”: una delle domande che ci ha accompagnato, me e la direttrice artistica Eva Neklyaeva, è: può un festival essere un caricabatterie per spettatori, artisti, staff?
Come sono strutturate le giornate?
Ogni spettatore potrà averne una diversa, perché è un progetto immaginato come molteplici viaggi. Si potrebbe partire da Piazza Ganganelli, fulcro del paese, dove si trova il centro festival, con il ristorante per gli spettatori, il punto informazioni, la biglietteria aperta fino alle 23 e uno schermo con dettagli sugli spettacoli che per dieci giorni invaderanno tutti gli spazi della città. Si può cominciare con una performance in sala, per poi visitare gli habitat con biglietti di fruizione molto liberi, vedersi un film in piazza, iniziare la serata musicale con un concerto in Piazza delle Monache e continuare fino all’alba a danzare nell’“imbosco”.
Che direzione sta prendendo la scena contemporanea?
La questione che si pongono gli artisti con cui stiamo lavorando - come anche noi, nel momento in cui abbiamo immaginato il progetto - è: cos’ha di urgente da dire una ricerca artistica, che tipo di energia può passare agli spettatori, più che il suo linguaggio formale? Questo punto viene messo in gioco in maniera importante nel festival, e si sta muovendo in diverse direzioni. Anche in Europa c’è un interrogarsi sulle modalità di un progetto: non solo presentare proposte artistiche dalla temperatura, dal colore radicale, ma anche cercare produzione, organizzazione, comunicazione più sostenibili, inclusive, piacevoli.
Il rapporto del festival col territorio?
Molto forte, a volte di odio-amore, come nelle lunghe storie. Sicuramente, uno degli aspetti meravigliosi di lavorare a Santarcangelo è conoscere le persone di qui, che sono veramente cresciute quasi “a mollo” in questo progetto, e quindi ognuno ha voglia di raccontare la propria avventura rispetto a come ha vissuto il festival, da spettatore o da volontario; questo è molto emozionante, perché dà l’idea di una storicità proprio impersonificata. Così, quando si va a mangiare una piadina dietro l’ufficio, si riceve un consiglio, un qualche desiderata: è un progetto molto partecipato, e questo è anche parte della bellezza e del fascino del festival.
Aggiornato il 06 luglio 2017 alle ore 13:15