La serie tv sul conflitto israelo-palestinese

Quando sei alla periferia dell’“impero”, come in Italia, può capitare che anche una serie televisiva di successo come “Fauda” sul conflitto israeliano-palestinese visto con gli occhi dei protagonisti in azione, venga trasmessa da Netflix con due anni di ritardo rispetto a quando era stata presentata a Roma al “Festival del Cinema” (ottobre 2015).

Così per chi è abbonato alla suddetta piattaforma il regalo è giunto sotto l’albero di Natale. Con l’effetto paradossale che le dodici puntate che sono tutta azione di terrorismo e antiterrorismo, che poi sono il prodotto locale, esattamente come “Gomorra” e “La Piovra” vengono vendute nel mondo come peculiarità tutta italiota, vanno sugli schermi nei giorni delle feste in cui la retorica ci vuole tutti più buoni.

“Fauda” in arabo vuol dire caos, mentre in ebraico la stessa parola è “balagan”.

Tuttavia chi dà la caccia ai terroristi di Hamas parla benissimo l’arabo, così come i terroristi parlano perfettamente l’ebraico. Avendolo per di più imparato nelle prigioni di Gerusalemme. Pertanto la serie gioca sull’equivoco dell’ambivalenza tra cacciatori e prede, tra buoni e cattivi e anche sulla semantica delle rispettive lingue: non a caso nelle opzioni audio ci sono, oltre alle lingue più parlate nel mondo e all’italiano, anche una per l’arabo palestinese e un’altra per l’ebraico.

Le puntate da 31 minuti ciascuna, dodici per l’esattezza, sono molto scorrevoli, e ovviamente una tira l’altra. La trama parte da una guerra personale a distanza tra le famiglie: quella di un leader di Hamas dato per morto tempo prima e poi constatato come ancora vivente in clandestinità da dove ordina stragi e attentati, e quelle dei soldati di alcune unità anti-“terror”. Così come lo chiamano in Israele, che sono poi, donne comprese, gli aspiranti “Rambo” della situazione. Ovviamente sulle sue tracce.

Agguati, inganni, sequestri di soldati o di informatori, la trama si snoda in maniera spettacolare per tutti e dodici gli episodi della serie. Che sembra abbia incontrato non poche polemiche a Gerusalemme per lo sguardo cinicamente neutro con cui vengono messe a paragone le vite dei jihadisti e di chi li combatte. Ideata da Lior Raz e Avi Issacharoff, che sembra si siano poi a loro volta ispirati alle reali esperienze vissute durante il servizio militare, che in Israele prevede richiami fino a 45 anni dei riservisti, è stata poi sceneggiata da Moshe Zonder e diretta da Assaf Bernstein.

“Fauda” racconta con cinismo anche i calcoli di Hamas: la discussione interna se la vedova di un martire possa a propria volta fare la terrorista suicida in un bar di Gerusalemme, i soldi versati di nascosto alle famiglie degli sposi, il sequestro dei cadaveri dei martiri che devono avere un funerale politico-religioso con il drappo verde di Hamas al posto di quello nero del lutto tradizionale. Sul versante israeliano, i “Rambo” su citati, uomini e donne, hanno tutti vite spezzate dal servizio militare, famiglie rovinate o disperse, con la compensazione di avere degli amanti in caserma. Un popolo che vive in prigione per fare la lotta armata contro un altro popolo che vive prigioniero della propria autodifesa.

“Fauda” (qui il trailer) rischia di essere una delle novità di fine anno e tra le serie televisive di cui si parlerà sicuramente per tutto il 2017.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 18:25