“7 minuti”, lavoro e diritti al cinema

Occupazione, reddito, condizione di genere, migrazione, capitali stranieri, vertenze: tanti gli elementi di importante quotidianità presenti nel film “7 minuti” di Michele Placido (ispirato a una vicenda realmente accaduta Oltralpe), una co-produzione internazionale - con un cast femminile italiano prestigioso - da giovedì scorso al cinema. All’origine c’è stato l’omonimo spettacolo teatrale di successo, e la grande attrice Ottavia Piccolo è una figura centrale in entrambi i progetti. La interpelliamo proprio in virtù di questo suo ruolo di “raccordo”.

Qual è il filo conduttore della narrazione?

Genericamente, il tema è il lavoro, la perdita dei diritti e la mancanza di sicurezze. C’è un consiglio di fabbrica, dove undici donne - di fronte al rischio della chiusura - devono decidere se accettare una proposta della proprietà di ridurre la loro pausa pranzo da quindici minuti a otto, rinunciando quindi a quei sette cui si riferisce il titolo, e il film è il racconto di questa discussione. Detto così sembra arido, mentre invece è intrigante, soprattutto come thriller, perché fino alla fine ognuna delle donne che parla - con tutti i suoi problemi - ha ragione, e difende le proprie ragioni; a partire dal mio personaggio, che è l’operaia anziana e la rappresentante, la portavoce del gruppo che porta alle proprie compagne questa offerta della dirigenza aziendale.

A quale pubblico si rivolge il film?

Credo sia un po’ diverso da quello che ci si potrebbe aspettare, perché racconta la vita di oggi, le nostre incertezze e paure, la mancanza di lavoro e in seguito - una volta ottenuto - la difficoltà a mantenerlo, i ricatti che inevitabilmente vengono fatti da chi “sta sopra”. Insomma, tutto quello che abbiamo intorno e di cui si parla tutti i giorni nella nostra quotidianità, declinato però in maniera non sindacale ma umana, tra persone che dialogano.

Alla base c’è un testo teatrale, con la notevole scrittura di Stefano Massini, uno dei più validi drammaturghi della scena contemporanea.

Insieme a Michele Placido (e Toni Trupia, ndr) ha scritto anche la sceneggiatura. Rispetto alla versione teatrale, la storia è la stessa, il mio personaggio è rimasto uguale, ci sono delle differenze semplicemente nel racconto dei personaggi, diciamo che le altre operaie vengono rappresentate in altro modo. A proposito dello spettacolo, devo ringraziare le mie compagne di lavoro e il regista Alessandro Gassman, perché se nel film io funziono è anche grazie a quello che avevamo fatto insieme precedentemente, alle oltre duecento repliche in teatro raccontando tutte le sere questa storia, che davvero tocca il cuore e il cervello di tante persone.

Quali sono, secondo lei, i suoi principali pregi?

Stefano Massini è un autore che non si ferma a un solo argomento, ma spazia davvero da tutte le parti, e lo fa sempre con una grande onestà e preparazione; quello che racconta lo ha studiato, letto, visto, è andato a controllarlo, e poi secondo me ha un grande pregio: non c’è una maniera “Massini”, lui scrive di volta in volta in modo diverso, a seconda del tema che tratta, e questo per me è molto importante. Ormai non ricordo neanche più quanti suoi testi ho interpretato, e ogni volta è un lavoro diverso. Aggiungo un’altra sua grande qualità: quando consegna un testo a un attore o - soprattutto - a un regista, non interviene più, da qual punto in poi il lavoro è tutto degli interpreti, la proprietà artistica è di quelli che lo portano in scena. Come sosteneva un grande: “Preferisco gli autori morti, così non si intromettono”. Infatti quegli autori che dicono “ma io volevo dire questo” sono insopportabili, poi molto spesso non si rendono conto di quello che hanno scritto; alle volte si tratta anche di cose più profonde di quello che pensavano.

Il punto nodale della vicenda, centrato dall’autore, è la “diabolicità” della controparte aziendale, la quale sulla pausa pranzo sembra andare a toccare un aspetto poco influente rispetto alla vertenza generale, mentre invece le serve a testare la capacità di risposta delle operaie, le divide - mettendo le une contro le altre - e inoltre, quantificando su orario e numero totale delle dipendenti, otterrebbe comunque una fetta di lavoro gratuito.

Esattamente. È lo stesso che accade in molte situazioni lavorative, quello che risulta più facile alla proprietà è dividere su dei punti apparentemente innocui, ne abbiamo esempi ovunque. Un elemento che viene fuori molto bene nel film, forse ancora di più rispetto allo spettacolo, è che a un certo punto Bianca, il mio personaggio, si arrabbia e dice: “Avete visto, uno scopo lo hanno ottenuto, grazie al fatto che ci hanno messo in questa situazione ora siamo qui a distruggerci l’una con l’altra”. Questo secondo me è uno dei momenti più forte, poi gli argomenti dentro il testo sono tanti, ad esempio le impiegate extracomunitarie - quindi persone deboli che devono accettare comunque una condizione lavorativa da ricatto - oppure le giovani contro le colleghe anziane. Purtroppo, tutto di grande attualità nel nostro quotidiano.

Aggiornato il 17 giugno 2017 alle ore 16:20