Per il saggista Francesco Carlesi, Bettino Craxi è l'ultimo statista italiano e, debbo dire, sono d'accordo con lui. L'amore per la sovranità e l'autonomia politica; le sfide lanciate all'establishment economico-finanziario;, l'avversione per le privatizzazioni selvagge ed i ripetuti braccio di ferro con gli Stati Uniti d'America, hanno fatto di Craxi un leader moderno unico nel suo genere. Dopo Craxi, infatti, fu davvero il diluvio. Un diluvio di cui ancora oggi paghiamo le conseguenze, con una globalizzazione economica imposta; con la totale perdita di sovranità monetaria, economica e persino culturale; con l'avvento di politici di facciata che rispondono alle logiche del business; con l'avvento dell'Era della precarietà e della disoccupazione endemica e della privatizzazione di tutto il comparto pubblico (pensiamo ad aziende un tempo fiore all'occhielllo del ministero del Tesoro quali Telecom, Acea, Eni, Enel...) ovvero con l'avvento del capitalismo assoluto tanto avversato da Craxi.
Francesco Carlesi è l'autore dell'ultimo saggio dedicato al leader socialista dal titolo, appunto, “Craxi – l'ultimo statista italiano”, edito dalle Edizioni Circolo Proudhon. Un saggio breve - con prefazione di Stefania Craxi - ma utilissimo a far conoscere ai giovani ed a rinfrescare la memoria ai più anziani, su chi fu Bettino Craxi, quale fu il ruolo del Partito Socialista Italiano dalla fine degli anni Settanta all'inizio degli anni Novanta e a sfatare tutte le maldicenze e gli improperi che fecero seguito alla falsa rivoluzione di Tangentopoli che, nei fatti, fu un vero e proprio “colpo di Stato” contro le forze politiche democratiche della Prima Repubblica per sdoganare, appunto, l'avvento della globalizzazione selvaggia e del capitalismo assoluto imposto dalla finanza anglo-statunitense, come ricordato da Sergio Romano e dallo stesso Carlesi nel suo saggio.
Il saggio di Carlesi ripercorre tutta la biografia di Bettino Craxi, figlio di socialisti ed iscrittosi al Psi a soli 17 anni ed eletto nel comitato centrale del partito a soli 23 anni. Allievo di Pietro Nenni e dunque aderente alla corrente autonomista, diverrà segretario del Psi nel 1976, imponendo al partito una grande svolta. Ispirandosi sia all'anarchismo di Pierre-Joseph Proudhon che al socialismo umanitario di Giuseppe Garibaldi ed al Socialismo liberale di Carlo Rosselli, Craxi romperà con la tradizione marxista e leninista del partito per trasformarlo via via in un partito autonomo (anche nel simbolo, facendovi inserire al centro un garofano rosso, simbolo della Comune di Parigi), liberalsocialista e libertario, alternativo ai comunisti ed alla Democrazia Cristiana, pur rimanendo ancorato al patto di governo con quest'ultima, assieme al Psdi, al, Pri ed al Pli. Bettino Craxi imprimerà dunque al Psi un carattere al contempo Risorgimentale, patriottico, autogestionario e modernizzatore, attirandosi numerose critiche di “decisionismo”, pur necessarie all'interno di un partito diviso fra mille correnti ed all'epoca ai minimi storici. La sua azione, infatti, permetterà al Psi di giungere sin quasi al 15 per cento dei consensi nell'epoca in cui Craxi sarà nominato presidente del Consiglio (1983-1987), epoca in cui riuscirà a far diminuire l'inflazione, rilanciare i consumi ed il made in Italy nel mondo ed a rilanciare la sovranità dell'Italia rispetto agli Usa con i quali ebbe taluni scontri, il principale dei quali quello relativo ai fatti di Sigonella che, nel libro di Carlesi, sono raccontati in appendice per merito di un discorso dello stesso Craxi pronunciato all'epoca dei fatti.
Amico degli oppressi e dei movimenti di liberazione nazionale, Craxi fu vicino e sostenitore, anche finanziariamente, dei dissidenti anticomunisti nei Paesi dell'Est, oltre che dell'Olp di Arafat e del Cile di Salvador Allende e nota fu sempre la sua amicizia e vicinanza al mondo arabo, in particolare al mondo socialista arabo. La sua azione politica, come documentato anche nel saggio, sarà dunque sempre improntata alla libertà, alla democrazia ed all'autodeterminazione dei popoli, aspetto peraltro riscontrabile anche in politica interna, viste le sue idee federaliste (mutuate peraltro dallo stesso Proudhon e da Carlo Cattaneo). Craxi è inoltre ricordato per la cosiddetta “Grande Riforma”, ovvero la necessità di rinnovare le istituzioni in senso presidenziale (idea peraltro già lanciata anni prima dal repubblicano mazziniano Randolfo Pacciardi, accusato ingiustamente – da sinistra – di golpismo) e di garantire maggior governabilità al Paese.
Riforma che, ad ogni modo, rimase lettera morta in quanto fortemente avversata tanto dal Pci che dalla Dc. La fine di Craxi è nota ed il saggio di Carlesi non dimentica di citare e di riportare quel celebre discorso che Craxi pronunciò alla Camera dei deputati, il 3 luglio 1992, nel quale parlò del finanziamento illegale ai partiti, denunciandolo e rammentando che tutti i partiti, nessuno escluso, erano finanziati illegalmente, ma non per questo potevano dirsi criminali. Il resto è storia nota. Anziché riformare il sistema tutto l'arco costituzionale rispose ipocritamente e lasciò che la Prima Repubblica ed il sistema politico democratico dei tempi implodesse su sé stesso.
Craxi, lo sappiamo, fu costretto ad andare in esilio ad Hammamet, protetto dal governo tunisino, diversamente avrebbe rischiato il linciaggio mediatico, fisico e la galera, quale unico “capro espiatorio” di un sistema non in grado di roformarsi e che si rifaceva su di lui in quanto l'unico ad aver “scoperto il Vaso di Pandora” ed in quanto l'unico ad opporsi, all'epoca, alla svendita del patrimonio statale ed a quella sovranità del Paese minacciata dai gruppi economico-finanziari italiani e soprattutto stranieri. Ecco che il saggio di Carlesi, giovane ricercatore laureato in Scienze politiche, cerca di rimettere ordine al caos ed all'odio generato in un'epoca che ha generato l'attuale crisi economica, sociale, civile e politica italiana ed europea. Merita, anche fosse solo per questo, di essere letto e diffuso.
Aggiornato il 01 aprile 2017 alle ore 15:32