“Tardi”: il tempo nel romanzo di Capra

Roberto Capra, avvocato penalista, torinese, è sposato con due figli. Il suo primo romanzo, “Sei zero nove bis - In difesa di un uomo”, ha vinto il Premio letterario “Inedito” 2008; nel suo secondo romanzo “Tardi” (“Editrice Il Punto – Piemonte in Bancarella”; pagine 560; 16 euro) parla della storia d’amore tra due adolescenti, Umbi e Giorgio, che si ritrovano anni dopo ormai adulti in un mondo cambiato e dove, forse, è troppo tardi per poter vivere una vita insieme. Tardi: un avverbio che avrebbe segnato quello che restava da vivere. Tutto sarebbe stato tardi. Soltanto per morire sarebbe stato presto. Nel romanzo troviamo il giornalismo, la politica, l’eutanasia, ma leggerlo potrà farci riflettere su una cosa che, spesso, si dà per scontata: la fugacità del tempo, cogliere l’essenza del momento ed immortalarla. Presi dai rimpianti del passato e dalle ansie per il futuro, non ci accorgiamo che la sabbia nella clessidra continua a scendere. Dovremmo saper vivere il qui ed ora; si danno per scontate troppe cose, ma quando scatta qualcosa o capitano determinati eventi, realizziamo di aver perso tempo: è questo il momento da cogliere perché niente è per sempre, bisogna vivere ogni momento con totale abnegazione, senza aspettare, perché il tempo è breve. Ricordando Orazio: “Cogli felice i doni di questo momento”. “Tardi” è anche un libro che può insegnarci a non prenderci troppo sul serio. “L’umanità si prende troppo sul serio. È il peccato originale del mondo. Se l’uomo delle caverne avesse saputo ridere, la Storia avrebbe seguito un altro corso” (Oscar Wilde).

Avvocato Capra, quando è nata l’idea di questo libro?

L’idea di scrivere “Tardi” è nata diversi anni fa, non c’è una data precisa; desideravo scrivere un libro per poter avere l’occasione di parlare di un tema molto difficile e controverso che mi sta molto a cuore: l’eutanasia, un atto di libertà e di amore, almeno per me e per il mio modo di pensare.

I protagonisti del romanzo, Umbi e Giorgio, esistono davvero?

Premetto che si tratta di un romanzo di pura fantasia, ma sono convinto che in qualche luogo esista davvero una Umbi, una comunista convinta ma con grandi valori, e sono anche sicuro che, da qualche parte nel mondo, possiamo incontrare un Giorgio Moda che amava il sorriso e la vita.

Ad un certo punto lei descrive Umbi come una persona che non ha mai saputo ridere della vita mentre Giorgio, al contrario, sorride spesso e cerca di prendere la vita con più “leggerezza” rispetto ad Umbi; si riconosce in questo lato di Giorgio e quanto conta per lei saper ridere della vita?

Credo che l’ironia possa aiutare molto a sdrammatizzare gli ostacoli della vita; più che riconoscermi vorrei imparare da Giorgio: ho l’aspirazione di poter arrivare a prendere la vita con più leggerezza, a prendermi meno sul serio come faceva Giorgio Moda. Resta da dire che ad un certo punto sarà proprio Umbi il personaggio che affronterà la propria vita con più leggerezza ed in una circostanza inaspettata.

Nel romanzo parla di un giornale scolastico, “Il Cirneco”, diretto da Umbi che negli anni del liceo ha scelto questo strano nome ispirandosi al nome di un cane catanese, il cirneco, tipologia di cane che “non molla mai”. Anche lei non molla mai quando difende i suoi clienti?

Io difendo il mio assistito a prescindere, come deve fare un buon penalista. Nel romanzo, Umbi, la giornalista che dirige il giornale scolastico, non molla mai: è sempre alla ricerca delle notizie e della verità. Un buon avvocato e un buon giornalista non devono “mollare mai”.

Nel libro troviamo anche un processo, ma non sveliamo nulla per non rovinare la sorpresa a chi sta leggendo “Tardi” magari sotto l’ombrellone o in montagna…

Sì, i processi fanno parte della mia vita; nel mio romanzo troviamo i protagonisti “naturali” di un processo: c’è un imputato, un’accusa costituita dal Pubblico ministero, troviamo un difensore, in questo caso una donna, ed infine un giudice che emetterà l’attesa sentenza. Beh, facendo il penalista è stato più semplice raccontare questi aspetti giuridici che fanno parte del mio quotidiano. In “Tardi” troviamo parecchie intromissioni, pensiamo alle varie associazioni pro e contro eutanasia che, secondo me, non dovrebbero mai entrare in un processo.

E la stampa? Può condizionare?

La stampa è legittimata a raccontare i processi, ma occorre porre dei limiti perché i protagonisti non ne vengano influenzati. I processi sono una cosa seria, dove è in ballo la vita delle persone, con regole che tutti noi dobbiamo rispettare. Da sempre vi è curiosità attorno ai processi; in particolare, il processo penale ha sempre attirato l’attenzione della gente, ma a volte credo che ci sia una sovraesposizione mediatica, e non lo dico in senso negativo.

Qual è stata la parte più difficile da scrivere?

Il finale: non sono uno scrittore di professione pertanto la parte finale è stata la più “sudata”.

Perché le persone dovrebbero leggere “Tardi”?

Per pensare, per sorridere e per riflettere: è una storia intrigante, si parla della politica del 1978, di un concorso della Gazzetta del Popolo, quotidiano più venduto all’epoca, ormai scomparso, per riflettere sull’eutanasia. È una visione moderna del carpe diem: bisogna cogliere l’attimo, perché la vita va vissuta prima che sia, appunto, troppo “Tardi”.

Lei dedica il libro ai suoi figli Danda e Tommy, ragazzi adolescenti; quindi il suo romanzo può essere letto da chiunque, anche da un adolescente?

Certo, tra i miei lettori ho parecchi compagni di scuola dei miei figli, ma ho anche miei coetanei, numerosi colleghi e persone non più giovanissime. La storia tratta argomenti seri ma è anche divertente e scritta in modo “fluido” e comprensibile per chiunque; pertanto anche ragazzi di 14 o 15 anni possono leggere questo romanzo per poter comprendere argomenti forse “dimenticati”. Non voglio polemizzare, ma si parla poco di argomenti importanti come l’eutanasia, o meglio, se ne parla solo in presenza di avvenimenti eclatanti ripresi dalla stampa, ma poi, passato il momento di cronaca, ritorna tutto nel dimenticatoio. “Tardi” è un modo per cercare di affrontare un tema che ha sempre fatto discutere.

A chi si sente di dire grazie e perché?

Quando si scrive un libro si sottrae tempo a chi ti sta vicino. Io posso farlo perché chi mi sta accanto, mia moglie, sollecita questa mia passione. Quindi, se devo ringraziare qualcuno, è senza dubbio lei.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 18:26