Viaggio coi migranti: l’“Esodo” di Quirico

Domenico Quirico pubblica il libro “Esodo - Storia del nuovo millennio” per la collana “I Colibrì” (Ed. Neri Pozza). Un dramma vissuto in presa diretta, da antico cronista che intende dividere con i più diseredati tra gli uomini gli elementi naturali: il mare (il Mediterraneo dei bagnanti e quello delle fosse marine, dove scivolano silenziose e anonime decine di migliaia di vite, senza sepoltura né ricordo); il cielo; il deserto. Il libro è stato scritto mettendo in gioco la propria vita, partendo con altri cento disperati dalle coste tunisine su di uno di quei barconi della speranza, in fuga da un ventre arido e da un seno avvizzito privi di linfa vitale e di nutrimento. Nella primavera del 2011 l’autore si trova in Libia e registra la migrazione tunisina a seguito del fallimento delle primavere arabe.

“Chi non sa - dice Quirico - parla dei migranti come massa, ovvero di un’entità indifferenziata, un numero di una statistica che registra i nuovi arrivi”. Fatica inutile. A chi fugge per sempre dal suo passato non ha alcun senso chiedere: “Da dove vieni? Fammi vedere i tuoi documenti!”. Non esiste documento di identità nei Paesi di provenienza. Non c’è corrente elettrica né acqua corrente per produrli. Nessuno all’arrivo è quello che era prima, magrebino, nigeriano. Viaggiano anni per arrivare qui. Che cosa resta dentro di loro? Nulla, se non il fatto di essere diventati antropologicamente uomini nuovi attraverso la consunzione del dolore.

Bisogna pur raccontare a noi stessi che cos’è la nuova migrazione. “Ma - dice Quirico - non mi posso identificare spiritualmente con loro, perché alla fine del mio viaggio sono tornato quello di prima”. Invece, all’arrivo, l’esperienza del migrante si è usurata, consumata del tutto. Spesso restano di loro solo i segni lasciati sulla pista, di quelli che non ce l’hanno fatta. Passano con pochissimi averi, cibo e acqua attraverso il Mali, il Burkina Faso, la Libia, l’Etiopia, il Sudan, l’Egitto. Quando mette piedi in Europa, il migrante è un altro uomo. Radicalmente cambiato. A noi che li riceviamo si impone il riconoscimento della nascita di un popolo completamente nuovo. Senza bandiere, passaporto, governo. Ma costruttore di un’esperienza umana assolutamente inedita. I luoghi di origine non hanno alcun senso, perché costoro non lasciano nulla dietro di sé. Non ci sono luoghi in cui rimpatriare. In Siria non c’è più una casa in piedi. Da dove provengono, la siccità ha distrutto tutto e la natura ha recuperato il controllo del territorio. Non c’è più segno dell’uomo sul paesaggio. Il loro è un viaggio senza ritorno: quello perfetto.

La migrazione è un’esperienza mistica e rivoluzionaria. Si lascia alle proprie spalle tutto ciò che si è stati. Ci si trasforma attraverso il dolore. Lo spettro inquietante della migrazione ci mette di fronte alla nostra ipocrisia. Loro hanno bussato senza armi e il castello di carte dell’Unione è crollato. Assistiamo oggi al rifiuto totale dell’Altro, solo perché ci ha messo di fronte a ciò che noi siamo e non a quello che diciamo di essere! Avreste il coraggio di fare il loro viaggio? Il migrante non sa quanto tempo gli ci vorrà per arrivare! Né quanta strada c’è tra il punto di partenza e quello di arrivo. Per molti il mare è un evento completamente nuovo, e toccare l’acqua salata è una sensazione così strana per chi viene dall’Africa continentale. Nel loro cammino di dolore hanno incontrato poliziotti e gendarmi che li hanno derubati, come pure hanno fatto i briganti e gli jiahdisti (costoro non sono amici dei migranti che considerano traditori, perché vanno a mendicare presso gli apostati senza dio). Quindi, chi fugge dalle zone infestate da guerriglieri islamici è costretto a fare il giro molto più largo per evitarli.

Che cosa portano con sé? Di solito, una maglietta di ricambio e il telefonino. Il viaggio è un gioco mortale, una continua sfida a tutto ciò che sta loro intorno. Si è costretti a guadagnare ogni passaggio verso una meta ignota. A lasciare, per le donne, che il proprio corpo venga usato innumerevoli volte dai trafficanti e da uomini in divisa per garantirsi il cammino. Perché i migranti sono davvero un grande business! In Libia in ogni cella vengono ammassati più di cento disperati, quando il massimo della capienza è di 15 detenuti! Chi li detiene li affitta per pochissimi denari a contadini e imprenditori: una perfetta trasposizione dei princìpi del capitalismo che i nuovi negrieri applicano con rigore assoluto. Spese ridotte all’osso; massimi ricavi. Ricorda Quirico di quel trafficante soprannominato “Papà” che caricava di migranti enormi camion da miniera. Poi, a un certo punto del viaggio, li faceva scendere dal mezzo che ripartiva rumorosamente: ma dietro la duna dove avrebbe dovuto attenderli qualcun altro per proseguire il cammino non c’era nessuno. Lui risparmiava benzina e guadagnava soldi senza alcun rischio, “scaricando” la propria merce nel nulla.

  Per chi organizza i viaggi via mare l’investimento iniziale consiste nell’acquisto di un vecchio peschereccio abbandonato e di un motore appena funzionante. Poi, si procede a un calcolo minuzioso - al centimetro quadrato - dello spazio possibile sul barcone. Quirico e gli altri erano in 113 in una barca di 10 metri. Prezzo del biglietto: 1000 euro per ogni passeggero. Dato che il pilota costa, i trafficanti scelgono di solito uno dei passeggeri e in dieci minuti gli spiegano il funzionamento del timone, concedendogli lo sconto: 700 euro anziché 1000 euro. Il passeur non fa mai il viaggio: tutto avviene attraverso telefonini. Testimonia Quirico: “Si parte dai moli in una confusione incredibile. La gendarmerie in Tunisia dormiva mentre tutt’intorno esplodeva il caos. Per i trafficanti, in fondo, si tratta di trasportare cose da un posto all’altro guadagnando il più possibile. Ed è indegno parlare di migranti utili e inutili. Ci servono i primi per aumentare il Pil” e ridare energia ad un’Europa che non fa più figli e invecchia nel suo egoismo.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 18:29