Mister Chocolat, film   sulla discriminazione

Torna in sala il tema della discriminazione razziale e dopo Race – Il colore della vittoria, che racconta la parabola sportiva dell’atleta nero Jesse Owens, questa volta a calcare la scena è il clown di colore Rafael Padilla, noto come Chocolat.

Il film – che ha inaugurato la sesta edizione di Rendez-Vous, festival del cinema francese, che si è tenuto tra il 5 e il 10 aprile scorso – della regia di Roschdy Zem, interpretato magistralmente da Omar Sy e James Thierrée, trae origine da una vicenda reale.

Ci troviamo nella Francia della Belle Époque in cui lo spettacolo circense è una delle forme di intrattenimento maggiormente in voga, nella quale si riflettono gli echi di un esotismo che affonda le proprie radici nella stagione coloniale e imperialista. Rafael è un nero, ex schiavo, che, arrivato in Europa tra mille traversie, viene venduto ad un piccolo circo di provincia dove diventa un’attrazione nelle vesti del cannibale Kananga.

George Footit è un celebre clown bianco che ha perso parte del suo smalto: i suoi spettacoli non divertono più ed il suo show ha bisogno di rinnovamento. Footit intuisce le potenzialità del duo “bianco-nero”: la coppia sin dagli esordi lascia il pubblico senza fiato, riuscendo presto a conquistare la scena parigina di prima classe. Se da una parte fama e successo risultano inarrestabili, portando con sé denaro e lussi, dall’altro lo show di Footit e Chocolat si fonda su ruoli fissi e prestabiliti che ruotano intorno allo stato di inferiorità razziale del nero.

Footit non è razzista ma comprende che questo “gioco di ruoli” del bianco che sottomette il nero ogni sera è l’unico elemento in grado di far funzionare i loro spettacoli. Chocolat, dal canto suo, non percepisce come offensivo questo ménage, che comunque gli porta benefici tangibili in termini di ricchezza e vizi, dai quali è tutt’altro che esente. Privo di documenti regolari, Chocolat subirà un arresto: in carcere incontrerà un prigioniero politico haitiano che mina le sue certezze ed instilla in lui il dubbio circa la dignità delle sue esibizioni. Tornato alla libertà, Chocolat decide di lasciare il partner; nel disperato tentativo di essere preso sul serio tenta l’esordio in teatro con l’Otello di Shakespeare – per la prima volta interpretato in Francia da un attore di colore – ma la società dell’epoca non è pronta a riconoscere in lui un artista, o più semplicemente Rafael. Travolto dai debiti di gioco e dall’alcolismo, Chocolat intraprende una triste china che lo porta sul lastrico e quindi ad una morte prematura.

Proprio come è stato per Owens che, pur avendo conquistato 4 ori olimpici nella Berlino nazista del 1936, resta pur sempre un nero agli occhi dell’America, in cui è costretto ad entrare nei locali dalla porta di servizio, così Rafael Padilla pur essendo diventato il nero di maggior successo nella Francia dell’epoca, resta imprigionato in una maschera, dalla quale non riesce ad emanciparsi. Egli può essere solo Chocolat, il clown che viene sculacciato ogni sera dal bianco Footit, e non Rafael (il suo nome che quasi nessuno conosce), non un uomo che può scegliere di essere altro.

Anche se è passato un secolo, in molti ambienti ancora, un diverso colore della pelle rappresenta ancora una valida ragione di discriminazione. E questo dovrebbe farci riflettere.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 18:29