Alla scoperta di Washington

Letizia parla in prima persona plurale, quando si riferisce agli italiani. Potrà sembrare normale, essendo nata e cresciuta in Italia: ma non tutti i ragazzi mandati via dall’Italia dimostrano che se c’è da fare sacrifici sono parte del Paese, anche se vivono fuori.

Letizia Sirtori ha 32 anni. Ha trovato negli USA chi ne ha riconosciuto il talento e la bravura, perché qui da noi le mancava la raccomandazione di qualche potente parassita: è responsabile dello sviluppo del turismo internazionale di Washington DC, la capitale del Paese più importante, ricco e potente del mondo.

Letizia, che tipo di studi hai fatto, come sei finita a DC e cosa fai ora?

Sono originaria di Carate Brianza. Ho iniziato l’Università allo IULM in Scienze del Turismo, facendo un anno di Erasmus a Vienna, dove poi ho fatto uno stage che poi si è tramutato nel mio primo lavoro: lì ho scritto la tesi che poi ho discusso in Italia. Gli Stati Uniti erano il mio sogno, così sono venuta a fare un doppio master, MBA e Hospitality Management a Miami. Mentre studiavo ho lavorato, e poi mi è stato offerto un lavoro a Washington DC, prima alla US Travel Associatione poi all’ente del turismo di Destination DC, dove dopo 6 mesi sono stata promossa alle responsabilità di ora.

Com’è Washington? Ci sono molti italiani?

Che io sappia nell’area della Greater Washington (DC, Virginia del Nord e Maryland del Sud) ci sono circa tremila italiani. Per la maggior parte sono ricercatori, medici, biologi ed ingegneri: alcuni rimangono per un paio d’anni, altri più a lungo. Poi c’è una forte comunità italiana alla World Bank e all’IMF (International Monetary Fund); e infine ci sono quelli che come me che sono venuti a studiare negli USA e poi sono arrivati qui. Gli italiani che sono qui hanno tutti un alto livello di formazione e ricoprono ruoli manageriali.

Io sono qui dal 2007: ci sono tantissimi giovani dai 25 ai 40 anni, ed è fortissimo anche tutto il lato culturale, dalle gallerie d’arte agli studio per gli artisti emergenti. E poi è una città in cui non c’è una sola strada senza almeno un albero, un cespuglio, un aiuola: è molto facile muoversi a piedi, ed è molto pulita. Infine, con un paio di ore di macchina puoi essere al mare, o in montagna, hai meravigliose escursioni in mezzo alla natura americana.

Molti ragazzi armati di talento e buona volontà trovano negli USA successo e opportunità: perché l’America li accoglie bene?

Per la mia generazione l’America resta il sogno di tantissimi sin da bambini. Noi italiani qui siamo ammirati e stimati: ci riconoscono un forte livello di conoscenza e di preparazione. Siamo grandi lavoratori, ci adattiamo, possediamo un approccio professionale. Portiamo qui competenze e capacità della nuova Italia e sappiamo che se vogliamo possiamo rientrare, poi c’è chi vorrà farlo e chi no. Comunque, vogliamo rimanere legati al nostro paese.

Che sentimenti provi verso l’Italia?

Penso che la maggior parte di chi è qui direbbe “mi piacerebbe tornare, un giorno, magari quando sarò in pensione”, oltre ad andarci in vacanza quando si può. Per quanto mi riguarda c’è nostalgia e un po’ di amarezza. Mi sembra un Paese che avrebbe bisogno che le cose venissero un po’ sconvolte, mentre si rimane in stallo. Ma l’amore per l’Italia c’è sempre: è il mio Paese, la mia terra, e chi non la conosce non dovrebbe parlarne male.

Tra le persone che conosco nessuno prova rabbia o rancore verso l’Italia: al massimo c’è chi dice che assolutamente non ci tornerà più a lavorare, perché non ha fiducia che ci potrà più essere un’opportunità.

Il nostro Paese ha tante cose magnifiche e interessanti da visitare, luoghi che ci rendono unici al mondo. Cosa dovremmo imparare dagli americani nella gestione turistica?

Gli americani sono maghi del marketing, e questo è il motivo principale per cui ho voluto venire qui: riescono a venderti la maglietta, il gadget, il ricordo anche di cose molto meno emozionanti delle bellezze che abbiamo noi.

Una cosa che proporrei è l’avvicinamento a modelli che funzionano altrove, come qui in America ma anche in Francia, che prevedono il coinvolgimento dei privati al fianco del sistema pubblico. Gli hotel, i ristoranti, le compagnie di trasporto, i centri congressi dovrebbero essere parte del sistema, da un lato supportandolo economicamente, dall’altro ottenendo poteri decisionali.

Inoltre io limiterei al massimo gli ingressi gratuiti. Abbiamo un patrimonio culturale eccezionale: ma spesso l’entrata è gratuita, non si chiede nemmeno due o tre euro, che ogni turista pagherebbe per vedere i nostri capolavori. Ci teniamo i Bronzi di Riace non visibili al pubblico e senza poterli ristrutturare per mancanza di fondi, e poi lasciamo che si entri gratis quasi ovunque. Si creerebbero anche molti posti di lavoro, soprattutto per i giovani: che già oggi svolgono questa attività spesso senza essere pagati, per imparare un mestiere, ma poi non trovano sbocchi.

Molti dei nostri intervistati hanno il cuore diviso in due, tra Italia e Stati Uniti. Capita anche a te?

Si, eccome. Io cerco sempre di trovare opportunità per rimanere legata all’Italia, che rimane la mia terra. Però l’America mi ha aperto le porte, e senza essere la figlia di nessuno importante o potente o ricco: mio papà è un elettricista, mia mamma è una casalinga, e mi hanno insegnato a studiare e lavorare per guadagnarmi il successo e le soddisfazioni. E qui è così per tantissimi.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 18:29