Sangue del mio sangue è il più bel film di Bellocchio

“Sangue del mio sangue” è probabilmente il più bel film di Marco Bellocchio. Solo all’inizio ha qualche inquadratura lenta di troppo, ma oramai il regista non è più quello strizzacervelli a 35 millimetri dei “Pugni in tasca”. E la rottura del sodalizio con lo psicanalista Massimo Fagioli, che veniva un tempo definito pomposamente il super io della sinistra italiana, gli ha giovato. E non poco.

Bellocchio oggi racconta veramente con immagini e fantasmi l’Italia che c’è e quella che c’era. Nella fattispecie di questo film l’Italia della Inquisizione e della monaca Benedetta murata viva per avere sfidato all’epoca i piaceri della carne e i potenti e quella della Dc e del Pci nella Emilia ex roccaforte del Pci con il loro sistema di welfare malato fatto di falsi invalidi, combriccole para mafiose e politici che prendono mazzette e che come vampiri succhiano il sangue dei cittadini. Una perfetta metafora di un paese che non vuole crescere perché non riesce a cambiare le vecchie abitudini.

Bellocchio stesso nelle note di regia racconta la genesi di questa ideona: “Il film nasce dalla scoperta casuale delle antiche prigioni di Bobbio e mi ha ispirato la storia di Benedetta, una monaca murata viva nella prigione convento di Santa Chiara, a Bobbio. Mi parve che questa storia dissepolta da un passato così remoto meritasse un ritorno al presente dell’Italia di oggi e più precisamente in un’Italia di paese, Bobbio, che la modernità, la globalizzazione hanno ormai cancellato.”

Ma questa è solo una parte della verità. L’altra è stata quella di riunire attorno a sé l’intera famiglia Bellocchio, Pier Giorgio Bellocchio, Elena Bellocchio, Alberto Bellocchio e metterla a recitare attorno a un maestro dei caratteristi come Roberto Herlitzka, già indimenticato cardinale godereccio ne “La grande bellezza” di Sorrentino. Senza dimenticare Alba Rohrwacher e Lidiya Liberman, quest’ultima nelle parti della murata viva. Altri attori e attrici sono stati pari pari confermati dal cast de “La bella addormentata”, il film su Eluana Englaro che ha sputtanato la malafede dell’intera classe politica italiana del centro destra dell’epoca.

Stavolta le allegorie di Bellocchio sembrano puntare sul modo di vivere della Emilia rossa, dove un intero paese fa parte di una congrega che assicura il welfare (fatto di imbrogli, di finte pensioni di invalidità e di raggiri vari) ai propri concittadini ruotando intorno alla figura di questo conte vampiro che vive clandestinamente nello stesso castello che nel Medio Evo fu la prigione della murata viva. Insomma l’Italia di ieri e quella di oggi. Per una volta Bellocchio è stato anche aiutato dalle musiche e dalla ottima recitazione di tutti e quindi non è risultato né astruso né pesante. Come in troppi dei suoi primi pur bellissimi film. Questo infatti è forse il più bello. E potrebbe benissimo ambire al Leone d’oro.

@buffadimitri

Aggiornato il 01 aprile 2017 alle ore 15:31