Cibo, sogni e amori   del milanese Pancrazio

La storia de “Il paradosso di Pancrazio” di Luigi Pistillo (Mursia Edizioni, pagine 134, euro 16) si svolge a Milano partendo dalla fine del secolo scorso fino ai primi anni del presente. Pancrazio, un protagonista atipico, poiché talvolta ha un ruolo marginale di semplice testimone, è un ragazzo milanese, un comune giovane come ce ne sono tanti.

Figlio unico ancorato alle avvolgenti premure della madre, è fortemente dipendente da Internet, fonte ineguagliabile per lui del sapere… e della conoscenza muliebre. È un po’ indolente, privo di ambizioni, sensibile ai piaceri della tavola che però vive in modo conflittuale.

Significativo e buffo in tal senso è l’episodio che lo vede di notte abbandonare il letto e strisciare carponi verso la cucina come se fosse un ladro. Perché? Per affondare le dita nella Nutella. Ciò anche dopo essersi staccato (se pur con riluttanza) dalla famiglia ed avendo una propria abitazione, e quindi al riparo da occhi indiscreti, ma, evidentemente, non dagli occhi della sua coscienza. Oppure quando, dopo aver donato il sangue per la prima volta (spinto a questo non da spirito altruistico, bensì dall’idea di saltare un giorno di lavoro ed essere comunque pagato), s’ingozza con bomboloni, cornetti e affini e finisce in ospedale.

Sul fronte amoroso l’immagine che offre è quella di un uomo interessato sì all’amore, tuttavia incerto, emotivamente poco coinvolto e, tutto sommato, abbastanza fragile nel rapporto con le donne. E questa sua fragilità lo rende vulnerabile e lo porta a vivere avventure grottesche, diventando, altresì, facile preda di profittatrici. I suoi amori sono amori di chat, un luogo virtuale ove si trova di tutto e nel quale Pancrazio vive e... sogna.

I personaggi che Pancrazio incontra sono, nel bene e nel male, tipici del nostro tempo: burocrati, maghe, medici ciarlatani, bizzarri viaggiatori dei mezzi pubblici, vicini di casa molesti, politici inaffidabili, utenti della chat, ecc. Il romanzo è generoso di episodi molto divertenti con spunti dal sapore acre. È irriverente e tutt’altro che rassicurante. E a parte il finale da quiete dopo la tempesta, tutto risulta privo di spiragli salvifici. L’unico che forse crea un’aura di positività è il padre di Pancrazio, Carlo Biagiotti, il suo contraltare, un idealista che, a dispetto dei santi, si ostina a tenere aperta la sua vetusta bottega; e che ancora riesce a stupirsi e ad indignarsi per le stramberie del mondo.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 18:25