Sposarsi a... teatro   col duo Strabioli-Spisa

Ma, ci si può sposare a teatro? Risposta: “Sì”. Perché, in fondo: il Teatro è vita. E viceversa! Fino al prossimo 9 novembre, va in scena, alla Cometa di Roma, il divertente e godibilissimo spettacolo de “L’Abito della Sposa”, interpretato dal duo Strabioli-Spisa, per la regia di Maurizio Panici. Racconta di una vita, quella di “lui”, passata a cucire divise. Mentre l’altra, quella di “lei”, ci accompagna, in silenzio, lungo un tracciato doloroso di zitellaggio precoce: con il suo personaggio di giovane donna immerso, costantemente, in una nebbia di odio e rancore, appena filtrato da un gineceo familiare onnipresente e invasivo. Due vite, insomma, disperse come naufraghi in un mare di.. stoffe. Lei, Nunzia, sartina dalle mani minute. Lui, Lucio, cucitore provetto. Ma, né l’una né l’altro possono nulla contro il loro comune “Sarto-Destino”. Quello che, anche quando non vuoi, continua a cucirti il suo implacabile mantello su misura. Ora troppo largo, che ci inciampi su. Ora troppo stretto, fino al soffocamento. E là, tra un filo appena imbastito e un ricamo appena abbozzato, che Nunzia bussa, un giorno, nella casa-laboratorio del sarto, dove, oltre quegli scaffali dalle pezze multicolori, si fa largo, imperiosamente, la voce della Dea Solitudine.

Quella, cioè, che battezza con la sua polvere del tempo che passa e che fu, il desiderio amoroso represso ed esiliato, perché “diverso”. E lo fa, nel corso dell’intero spettacolo, con le sue rime baciate: a volte malate; ma spesso banali, come quelle delle canzonette melodiche (Rita Pavone, Mina, Bruni, ecc.) di quei favolosi, primi anni Sessanta del secolo scorso. Dove tutto accade, nel martirio del bello e, soprattutto del brutto, che coincide, attraverso l’aria e l’ossido dei suoi umori, con l’atmosfera del mondo. Dove la voce di Federico Orlando racconta le fasi concitate dell’assassinio di J. F. Kennedy; del dolore della moglie Jacqueline (appena osannata da Lucio, per la sua eleganza innata!) e del popolo americano. Perché, il mondo, quello che, quando nasciamo, “sta’ già fatto” (come dice un detto paesano montanaro), è intriso di gossip, sangue, voci, cantici, disperazioni, e amori. Storti e distorti. Sani e profondamente malati. Ecco, allora, che queste due vite, così diverse - quella della giovane, chiusa nella sua maturazione secca, senza pioggia e con moltissimo vento in tasca; l’altra, quella del sarto maturo - sono avvicinate e giustapposte dalla sorte, grazie a quel loro comune incedere lungo i passaggi angusti dei segreti indicibili.

Lo spunto dell’incontro è costruito sull’inusuale commissione della manifattura di un abito da sposa, che è stata proposta a Lucio da un ufficiale, suo cliente abituale, e al quale il sarto non può dire di no. Solo che, ahimè, la sua aiutante (ma guarda un po’...) si è appena fratturata ambedue le braccia, cadendo dalle scale. Così, il destino bussa bruscamente alla sua porta, con le manine, chiuse, serrate, rigide e isteriche di Nunzia. E il loro incontro ruota, come la rota di un pavone interamente bianco, attorno al piedistallo di un carillon, sul quale danza una figurina senza volto, vestita di un abito sontuoso da sposa, che più cafone e pacchiano sarà, più piacerà ai suoi committenti. Un abito da bambolona grassottella, che deborda dai profili di gesso di un manichino senza testa, su cui Nunzia andrà cucendo delicate roselline di organzina. Ma c’è un segreto, nell’aria. Qualcosa di nascosto e indicibile, che fungerà da magnete di attrazione, per spingere un maturo signore, un po’ ciarliero, verso la sua giovane apprendista, praticamente muta. Ma l’attrazione non avrà l’energia primordiale di un desiderio sessuale. No, mai.

Del resto, nulla potrebbe essere più stridente di così: perché lui è un cultore del “bello”, che cambia cardigan, camicia, pantalone e cravatta, almeno due volte al giorno. Sempre impeccabile nello sposare armonia cromatica e tono posturale. Goffa, annodata su se stessa, invece, lei: ripresa da Lucio, in uno dei tanti deliziosi, educatissimi dialoghi, in cui, con garbo e ironia, il sarto censura Nunzia, per quel suo mostrarsi con i colori grigi di un autunno della vita, che non può appartenerle. Perché, giustamente, i toni spenti non si addicono a chi ha la fortuna di essere ancora nel pieno della propria giovinezza. E poi, suvvia: un anticipo di senilità, decisamente troppo precoce per chi, come Nunzia, ha forme prosperose, un corpo gentile, con i seni impetuosamente tirati a punta da madre natura sul suo petto giovane. E Lucio, allora, che sembra comprenderne, in qualche modo, il mistero, prova a vestirla di uno dei suoi bellissimi, adorati colori di libellula mai nata.

Ed è così che, a sorpresa, dopo averne criticato la mise monacale, Lucio regala a Nunzia una pezza preziosa, dal colore sgargiante, acquistata -un po’ per caso, un po’ per un vezzo inconfessabile-, in uno dei tanti mercatini itineranti, durante uno dei suoi momenti di libertà da girovago senza vocazione. Poi, poi... La farina del Diavolo va in crusca, come nella profezia. Perché le due anime, a un certo punto, nell’epilogo della finta farsa, si scoprono interamente nude. Vittima del tradimento che toglie il sonno, l’una. Prigioniero di un mondo sentimentale senza vie d’uscita, l’altro. Insomma, uno spettacolo ideale, per chiunque abbia voglia di passare una bella serata in un catino dolciastro e salato di amara allegria!

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 18:33