“Perez”: la vittoria   della sconfitta!

Credevate che fosse mai possibile “vincere la sconfitta”? O, simmetricamente, “sconfiggere la vittoria”? No? Allora meglio che vi allacciate le cinture, e andiate a farvi un giro sull’ottovolante napoletano, mentre scorre dall’alto, sotto di voi, una città disastrata, dentro e fuori le mura, eppure “intatta”, nella sua arida architettura moderna, come se fosse stata investita da una bomba a neutroni. Un bravissimo Commissario Montalbano (Luca Zingaretti interpreta l’Avv. Perez, nel film, per la regia di Edoardo De Angelis), senza accento siculo stavolta, ci porta nei non-luoghi della cittadella giudiziaria, dove un avvocato d’ufficio ha la residenza e il suo luogo di lavoro. E' una pellicola intensa, che manda bagliori striati di nero e di rosso, come quelli di un cielo malato, pompeiano, che alligna, da tempo, sull’orizzonte della Napoli moderna. Il film nizia con Perez che fa jogging tra quelle pareti murate, interamente svetrate, che ci soffocano a volo d’uccello, con il loro pallore bianco abbagliante, dalle cui vette di ferro e cemento vengono giù, come gabbiani senza vita, le anime paterne, che vanno a raggiungere quelle altre, dei morti innocenti, centrate da un insetto di piombo, senza timone. Un coleottero nero, uscito rovente dal ferro che l’ha allevato, impazzito come non pochi abitanti folli e criminali di quella città perduta, devastata da ben altri fuochi, rispetto alla Pompei vesuviana.

Ed è quel nido d’insetti voraci, scalmanati e anarchici, pur nella loro assoluta impotenza di costruire alcunché di positivo (oltre alla propria autodistruzione), a tempestare le acque assurdamente calme di un film, che ruota come una giostra vuota, lentissima, sulla quale salgono, in modo rapidissimo, le figure di giudici, avvocati, poliziotti, semplici cittadini di Napoli. Tutti gravati da un’atmosfera lugubre, dove il dramma ha, ormai, esaurito i suoi giri di falce, portando al Faust le loro anime in pena. E la storia del fallimento esistenziale di Perez s’incrocia con quella dei giovani nati già senza speranza, perché figli di quell’alveare impazzito, drogato di nulla e di tutto, dove nidificano solo veleni dell’umana debolezza, dominata dalla violenza e dalla perversione. E la sua vita di tranquillo mediocre, senza voglia di redenzione, né di apprendere dai propri errori, incrocia -per caso o per scelta di qualcuno- gli insetti più grandi e mortalmente velenosi, con i loro pungiglioni ben esposti, talvolta duri come durissimi diamanti.

Sconfitto Perez lo è, in ogni momento della sua grigia esistenza, con la bottiglia come vera, unica amica fedele. Colei che lo allontana dalla lotta e lo fa addormentare, disfatto, nei momenti cruciali, quando l’amore della figlia lo respinge e spilla disprezzo per lui, intenta com’è a donarsi al suo giovane coleottero con le ali sgargianti, colorate a festa, bagnate in un lusso malato e sanguinario, conquistato senza il sacrificio del lavoro. Quel benessere intriso di sangue innocente e colpevole, che viene dalla pratica violenta, dal sopruso e dalla depravazione, nei confronti di una comunità di vinti, senza più forza per resistere e respingere l’attacco dei pirati alla cittadella della civiltà perduta, di una Napoli che fu astro della cultura pre-risorgimentale. Così, in quel mulino degli eventi imprevedibili, che è il nostro Destino, Perez incontra il suo Gran Maestro del Male, volpe braccata dai lupi del suo stesso circondario malavitoso, che si pente “a orologeria”, citando e documentando delitti disgustosi, eppure offrendo al suo vinto di fiducia, Avv. Perez, l’opportunità di vincere la sua sconfitta personale.

Perché, quel Gran Maestro, che parla piano, minaccia sottovoce, sa quel che fa e quel che dice. La sua parola vale più di una legge scritta: la si rispetta, e basta. Colpito da un pugno ristoratore, frutto di un tentativo balordo di rapina, Perez, violentato ma amatissimo della figlia, di cui intravede il buio orizzonte della perdizione, si risveglia, perché sa di dover cercare la via d’uscita della salvezza per lei, l’unico, fondamentale bene della sua esistenza affettiva, e per se stesso. Allora, quel fiume nero, lento, che trascina quotidianamente corpi senza vita di giusti e di carnefici, in forza delle sue correnti, regala a Perez un meraviglioso pesce di mare, grande, colorato, appena pescato. Nelle sue viscere c’è la soluzione, la perla, nera anch’essa, che vale una fortuna e parecchie vite, che gli ruotano tutto intorno.

Sarà proprio nella consegna di quel tesoro, custodito in ovuli macchiati di sangue animale, così sacro ai Sick, che Perez ritroverà se stesso e sua figlia, condividendo le con lei -con modalità simili all’incesto sentimentale- regole non scritte di quel Male Assoluto, che domina su Napoli e su tante sfortunate aree di questa Penisola. Con le armi del Gran Maestro del pentitismo, vincerà Perez la sua sconfitta esistenziale, accettando di diventare altro da se stesso, un ex buono, che mette in conto l’uccisione e la cremazione del suo mortale avversario, svolgendo la sua nuova narrazione personale attraverso i non luoghi di quella sua città perduta. L’occhio senza sensi della macchina da presa ci porterà nel posto dell’epilogo, dove la spiaggia ferrosa di una periferia napoletana, nera come la notte in pieno giorno, è stracolma di rifiuti, di cui lo sguardo delle persone comuni, ormai, neanche più si accorge. Perché, se andrete a Napoli, sembra voler dire il film, “Lasciate ogni speranza o voi ch’entrate”!

Insomma, una piccola, intensa Gomorra personale. Vi consiglio di andare a vedere il film con l’animo giusto, sapendo che il mondo non è mai né interamente bello, né perfettamente brutto. Oggi una cosa è così, come la vedete, certo.. Ma, domani, può arrivare il terremoto, e rimodellare la terra che voi stessi calpestate. Buona visione a tutti!

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 18:24