Emigrazione, museo a Gualdo Tadino

Le testimonianze dell’emigrazione italiana in America (e nel mondo) non si trovano solo lì dove si sono poi sviluppate le nuove vite di chi partì. Anche in Italia esiste una rete museale (ancora troppo piccola) nella quale spicca un’eccellenza. Si tratta del “Museo dell’Emigrazione Pietro Conti” di Gualdo Tadino, nella splendida Umbria: un gioiellino lontano dalle metropoli in grado di suscitare emozioni e raccontare alcune storie davvero interessanti. Alla guida del museo c’è una persona che alla necessaria conoscenza di questi temi aggiunge il fatto di essere una giovane donna, bella e in gamba: Catia Monacelli. Sua è, tra le altre iniziative, l’idea del concorso video “Memorie Migranti”, giunto alla decima edizione. Sabato prossimo si terrà la cerimonia di premiazione. Chi scrive ha avuto il privilegio di far parte della giuria dell’edizione di quest’anno.

Catia, donne al timone di istituzioni culturali di rilievo in Italia purtroppo se ne vedono sempre poche. Parlaci un po’ di te, che sei una piacevole eccezione.

A 27 anni ero già direttore del Museo dell’Emigrazione Pietro Conti e del Centro Studi sull’Emigrazione Italiana: museo che io stessa ho contribuito a realizzare dopo una bella gavetta e una lunga ricerca sul campo. Nel 2011 ho ricevuto il “Globo Tricolore”, un importante riconoscimento assegnato a chi si è distinto per la ricerca sui connazionali all’estero. Faccio parte di un’équipe di ricercatori che su incarico del ministero degli Affari Esteri ha realizzato il Museo dell’Emigrazione Nazionale a Roma, presso il Vittoriano degli Italiani. Oggi mi occupo di management dei beni e servizi culturali e oltre a dirigere il Museo dell’Emigrazione sono curatore d’arte contemporanea e, sempre in Umbria, sono direttore del Polo museale Città di Gualdo Tadino, responsabile di area del Polo Museale Diocesano e direttore del Palazzo del Bargello a Gubbio. Già una lunga carriera alle spalle partita da giovanissima, poco dopo la laurea in Lettere.

Il Museo dell’Emigrazione è intitolato alla memoria di Pietro Conti. Ci aiuti a ricordare chi era e perché il museo porta il suo nome?

Pietro Conti è stato il primo presidente della Regione Umbria e ha lavorato moltissimo a favore dei connazionali all’estero. Pertanto, quando nel 2003 si è inaugurato il museo, la città di Gualdo Tadino che lo ospita, in concerto con la Regione, ha deciso di intitolarlo alla sua persona. Il Museo dell’Emigrazione nasce per sottolineare il patrimonio storico, culturale e umano legato al grande esodo migratorio che coinvolse l’Italia a partire dalla fine dell’Ottocento, riguardando più di 27 milioni di persone. In questo contesto l’incidenza della popolazione umbra, dapprima trascurabile, diviene rilevante a partire dai primi anni del Novecento, fino a raggiungere il settimo posto nel periodo 1911-1913 nella graduatoria delle regioni con la più alta emigrazione. Gualdo Tadino, insieme ai comuni della fascia dorsale appenninica, è protagonista di questa importante vicenda storica e umana. Centinaia di documenti, immagini e racconti provenienti da tutte le regioni d’Italia sono custoditi nella sede museale, tutti insieme a raccontare un’unica grande storia italiana: gli addii, l’incontro e lo scontro con il Paese straniero, la nostalgia, le gioie e i dolori quotidiani, l’integrazione nella nuova realtà, le sconfitte e le vittorie, il confronto e la riflessione con l’immigrazione di oggi. Un viaggio corale che ha per protagonista l’emigrante.

Il prossimo 12 aprile a Gualdo Tadino si svolgerà la X edizione del Concorso video “Memorie Migranti”. Quando nasce e a quale scopo?

Il progetto parte nel 2004 con la salda volontà di non far disperdere le testimonianze di coloro che hanno vissuto in prima persona la vicenda dell’emigrazione italiana all’estero, soprattutto quando emigrare non era una scelta, ma l’unica strada possibile per continuare a sopravvivere. Un detto infatti diceva: “O emigrante o brigante”. Negli anni questo concorso è cresciuto moltissimo, trasformando il nostro centro studi in uno dei più importanti riferimenti internazionali sul tema dell’emigrazione italiana all’estero. Storie pubbliche e private che si intrecciano nei racconti video e dai quali emerge lo straordinario spirito imprenditoriale italiano.

L’Umbria è terra di emigrazione. Negli Stati Uniti dove sono emigrati principalmente gli umbri?

Dall’Umbria prevalentemente si sono insediati in Nord America. L’emigrazione umbra ha seguito costantemente i flussi migratori legati ai lavori nelle miniere, ed è per questo che un numero consistente si è trasferito in Pennsylvania, ed in particolare nelle zone minerarie tra cui Jessup, Old Forge ed West Pittston.

Il museo da te guidato ha davvero molte attività. Ce le descrivi?

Il Museo dell’Emigrazione pubblica ogni anno i volumi della collana “I Quaderni del Museo dell’Emigrazione”, ha una biblioteca che raccoglie testi e ricerche sull’argomento, un archivio fotografico e documentario, una nastroteca ed una esclusiva videoteca di riferimento internazionale. È un museo “vivo” e “polifunzionale”, non solo custode della memoria, ma anche luogo deputato allo svolgimento dei laboratori didattici per le scuole di ogni ordine e grado. Agli studenti viene data l’opportunità di usufruire delle attività laboratoriali e di approfondimento: durante l’intero anno scolastico è possibile svolgere attività di ricerca, aderendo per esempio al Concorso “Memorie Migranti”, per la produzione di cortometraggi sul tema dell’emigrazione. Il museo inoltre è un centro di ricerca permanente per analizzare i diversi aspetti dell’emigrazione italiana ed un luogo simbolo per tutta la regione e tappa di un itinerario nella cultura umbra.

Hai un aneddoto o una storia particolarmente interessante tra quelle raccontate nel museo o nelle tue pubblicazioni che riguardi qualcuno emigrato negli Stati Uniti?

Nel percorso museale tra le varie lettere e racconti, viene riportata la ormai celebre frase di un migrante italiano negli Stati Uniti: “Sono venuto in America perché mi avevano detto che le strade erano lastricate d’oro. Quando sono arrivato ho scoperto tre cose: primo, che le strade non sono lastricate d’oro; secondo, che le strade non sono lastricate affatto; terzo, che dovevo lastricarle io”.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 18:32