“Maledetto Peter Pan” alla Sala Umberto

Chi non conosce Peter Pan? Quel personaggio mitico che non aveva “ombra”, come accade al protagonista maschile della storia di tradimenti, separazione e solitudine, raccontata in un monologo in due tempi dalla bravissima (e altrettanto simpatica) Michela Andreozzi. Lo spettacolo (inserito “in corsa” nel cartellone) verrà rappresentato fino a domani alla Sala Umberto di Roma.

La scena è sobria, con arredi bianchi, come l’immancabile telefono d’identico colore (modello modernariato, con il profilo a cobra), mentre sullo sfondo troneggia un enorme divano a forma di boomerang (e, come vedremo, nessun profilo si sarebbe adattato meglio all’esilarante racconto della Andreozzi) che concentra le attività essenziali del menage domestico: il sesso, ben presto stanco e fiacco; il gineceo; la palestra dialettica per liti e gestione del telecomando; il luogo privilegiato per molleggiare le varie depressioni e sindromi di abbandono.

La trama non ha nulla di esotico, o di “trendy”: la Andreozzi interpreta con la sua voce sia Lui che Lei, superandosi ecletticamente nel voler dare al primo un’ambientazione vocale e una mimica perfettamente coatta, ideale per disegnare i contorni caratteriali di un uomo ultraquarantenne, sposato e con un figlio piccolo, divenuto molle e stempiato, per naturale, fatale adagio su di un menage familiare senza dossi improvvisi o eventi a sorpresa. Tutto funziona nella più assoluta mediocrità, scandito dai ritmi banali della tv e dalla posa scomposta “sensual-killer” di lui, che passa il tempo libero in famiglia sdraiato sul divano ad accarezzarsi distrattamente le parti dove non batte il sole. Di certo, l’aumento di peso e volume di lei, come pure la crescita delle “maniglie” dell’amore di lui, non aiutano, né stimolano i reciproci appetiti sessuali. Secondo lo schema classico, è lei a essere fin troppo paziente e tollerante, prendendo per oro colato le mille scuse di lui: improvvise riunioni notturne di lavoro o trasferte a sorpresa fuori città.

Finché, un giorno, mentre si gode il bagno in vasca, con essenze stimolanti per la rigenerazione dei capelli, lei si scopre le famose “protuberanze” frontali, frutto dell’evidente tradimento del marito. Perché non c’è peggior cieco di chi si acceca volontariamente, ma fino a un certo punto. Così la gentilezza lascia il posto ai toni duri, imperiosi di lei, fino alla confessione goffa e impacciata di lui, che ammette la tresca con la propria segretaria, impersonando la quale la Andreozzi metterà in scena autentici pezzi di bravura, attraverso i quali emergerà prepotente la figura negativa dell’amante di lui: svampita, sgrammaticata e falsamente sdolcinata, tutta opportunismo e superficialità.

Ovviamente sarà lei (di cui si coglie, nemmeno tanto indirettamente, la caratura morale nettamente superiore a quella dell’uomo) a mettere alla porta il fedifrago confesso, spedendolo a casa dell’amante. E da lì in poi, però, inizia per una donna sola, con un bambino da crescere, il dramma vero della solitudine, in cui non si troverà accanto né amici, né tantomeno parenti, che la giudicheranno e criticheranno per quel gesto di pura dignità. Dando vita immaginaria ai profili femminili più disparati, di amiche “care”, con voci sempre diverse e dai toni esilaranti (la svenevole, la sensuale, la cinica, ecc.), la Andreozzi si diverte a mimare i gesti della psicologa etilica che inizia a bere dal mattino e dà consigli tra i fumi dell’alcool, malferma sulle gambe. Mentre quelle altre, qualcuna botulinizzata, qualcun’altra con il profilo snob e con il look alla moda, o mangiauomini, fanno a gara a darle inutili consigli, mentre si sono ben guardate dal metterla per tempo sull’avviso, pur avendo registrato in precedenza lo scenario della tresca dell’ex. Tra una sequenza ravvicinata di stati depressivi, ora attenuati farmacologicamente, ora affrontati senza paracadute, la moglie tradita sente risvegliare in sé i sensi addormentati, decidendo di trovarsi un’alternativa affettiva.

Ovviamente, essendo una donna perbene, non le rimangono che vecchie agende da consultare, con incontri e telefonate a ex o a compagni di scuola dimenticati, carichi di effetti ed epiloghi a sorpresa. Poi, il ritorno del fedifrago, l’accoglienza generosa di lei, la scoperta di un nuovo, stavolta irrimediabile tradimento, che bollano definitivamente l’uomo come affetto da un’inguaribile sindrome di Peter Pan. Molto graditi, inoltre, i momenti d’interazione diretta tra l’attrice e gli spettatori presenti, con allusioni, battute improvvisate, cori e commenti da salotto buono e da riunione di famiglia, in cui la semplicità dei dialoghi e le domande dirette costituiscono lo spettacolo all’esterno del palcoscenico, che la Andreozzi abbandona spesso e volentieri, per misurare il termometro degli umori in sala, unendo la sua risata schietta e squillante a quella degli spettatori.

Insomma, per quanto mi riguarda, inviterei a prenotare una serata di grandissimo buonumore, generosamente regalato da un’attrice comica straordinaria, per tutti i fortunati che vivono o si trovano in vacanza nella Capitale.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 18:30