Perrucci, amico di Napoli

Gianfilippo Perrucci è da considerare, senz’ombra di dubbio, uno degli ultimo Signori di Napoli, con la S maiuscola naturalmente. Una razza in via di estinzione messa in fuga dall’irrompere della volgarità e del cattivo gusto nel vestirsi e nel comportarsi e dalla faccia tosta di considerare questi vizi come virtù da esibire in società. Settant’anni portati con lo spirito di un ventenne, dalla battuta sempre pronta e incline a vedere sempre il bicchiere mezzo pieno.

Il padre ammiraglio, quando lui era in fasce, lasciò la moglie, una Fuchs, appartenente a una delle più ricche famiglie tedesche con un castello a Berlino contenente una delle più famose raccolte di dipinti d’Europa, distrutto dai bombardamenti durante l’ultima guerra mondiale. I suoi zii erano tutti eminenti scienziati: oculisti, chimici, fisici, alcuni in odore di Nobel. Del loro ingegno Gianfilippo non aveva preso nulla: in compenso aveva ereditato la classe e la signorilità della mamma, la quale si fidava solo di Gennaro, il suo cameriere personale, ricchione inveterato, quando il termine gay era di là da venire.

Ogni settimana Gianfilippo, nella sua splendida villa di tre piani in via Tasso, circondata da un giardino lussureggiante con piante secolari, organizzava feste memorabili con la partecipazione della migliore borghesia della città e, soprattutto, delle ragazze più affascinanti; dalle quattro sorelle Basilone, una delle quali è divenuta numero due della Polizia di Stato, alle mitiche Sanniti di Baja, tre sorelle, di cui due gemelle dalla bellezza straripante in grado di ammaliare chiunque, una delle quali, purtroppo, da tempo scomparsa. Spesso allietavano le serate i “Lubbers” un complesso che alternava “La Mela”, mitico night ritrovo della Napoli bene, ai saloni di Gianfilippo.

Era composto da 5 elementi: tra questi i fratelli De Bellis divenuti uno (Diego) un grande finanziere e l’altro (Massimo) un valente primario di neurochirurgia. Fu durante una di queste feste che Cupido fece scoccare la freccia fatale che da allora ha unito i cuori di Giuliana e Peppino Di Capri. Ci divertivamo, la droga c’era sconosciuta, l’alcol non ci attirava più di tanto, cercavamo spasmodicamente il sesso che allora era proibito e le ragazze si concedevano con grande cautela solo dopo ripetute promesse di matrimonio. Quasi tutti eravamo assidui frequentatori del “casino di Santa Chiara” e il padrone di casa, in primis, gran puttaniere, non si è fatta sfuggire nessuna delle prostitute attive nei primi 40 chilometri della Domiziana.

Quando ci siamo conosciuti, decidemmo di preparare assieme l’esame di anatomia, che Gianfilippo, come pure Emanuele Leone, avevano tentato varie volte. Mi bastò una settimana per dargli un affettuoso consiglio che, in seguito, cambiò la sua vita. Gli dissi: “Gianfilippo un essere umano non si farà mai curare da te, una bestia forse sì”. Il giorno dopo lasciò medicina per iscriversi a veterinaria e a lampante dimostrazione di quanto e da tempo sia decaduto il prestigio dell’università, è stato per trent’anni stimato professore. Uomo di grande sensibilità, Gianfilippo ha pubblicato un libro di poesia in dialetto e, per non incorrere in imprecisioni nel vernacolo, si è fatto assistere da un grande napoletanista: Vittorio Paliotti.

L’ultima volta che ci siamo incontrati è stato cinque anni fa, al Circolo Posillipo, in occasione della presentazione del mio libro “Il seno nell’arte dall’antichità ai nostri giorni”, presenti anche Emanuele Leone e Lucio Migliaccio. Ci siamo poi persi di vista per ricongiungerci, attraverso la posta. Mi ha confessato che vuole girare un film sulla sua vita, comico secondo lui, drammatico a mio parere. Ecco pronta la sceneggiatura ma, soprattutto, un omaggio alla sua bontà, tradita da falsi amici e sfruttatori di ogni specie. Gianfilippo, ti voglio bene!

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 18:28