
Gobetti guardò e analizzò il Risorgimento come un fallimento poiché, in assenza di una riforma come quella Protestante, il popolo non aveva maturato una coscienza democratico-liberale, non aveva partecipato al processo rivoluzionario sotto la guida della borghesia illuminata, come era avvenuto nella Rivoluzione francese, ma aveva subito le manovre di una “casta di impiegati” interessata esclusivamente a mantenere i propri privilegi. In quest’ottica il fascismo appariva a Gobetti come l’inevitabile conclusione di un processo di difesa corporativa e di interessi consolidati, come momento che svelava «l’autobiografia della nazione». Emilio Gentile descrive la lettura risorgimentale del Gobetti non come «un grande dramma nazionale» ma una «rivendicazione di masse popolari nuove, rivolta di popolo condotta da scelte guide borghesi contro classi in decadenza», come era stata la Rivoluzione Francese.
L’unificazione opera di un’esigua minoranza, si realizzò «per iniziativa del dispotismo». Il processo moderno di rivoluzione liberale, cominciato da Cavour, fu soffocato da una «casta di impiegati interessata, per conservare ogni privilegio, a impedire ogni partecipazione popolare». Tale linea di analisi conduceva il Gobetti a vedere nel fascismo la rivelazione dei vizi organici dell’ Italia contemporanea, il retaggio di un malcostume secolare connaturato al carattere di un popolo che non aveva mai fatto la rivoluzione. Il Fascismo è descritto da Piero Gobetti come: «l’autobiografia di una nazione», una formula brillante, ma secondo Gentile, storicamente insostenibile. Sempre secondo Gentile, quelle di Gobetti, sono formulazioni vivaci, ma storicamente non spiegano e non aiutano a capire, risolvere, studiare complessi fenomeni della storia in una sintesi scintillante, costruita su formule talvolta suggestive, talvolta intuitive, ma spesso scintillanti solo nella sua pura forma estetica concisione. Non a caso a Gobetti piaceva molto un saggista fasciata come Curzio Malaparte, il quale criticava il Risorgimento con argomentazioni opposte a quelle del Gobetti, ma argomentazioni scintillanti, provocando fascino e curiosità al Gobetti.
Alberto Mario Banti, invece, definisce le analisi del Gobetti, di taglio polemico, di scrittura brillante, ma scarsamente ancorate a ricostruzioni filologicamente ineccepibili. Egli giudica il Risorgimento, come descrivevamo, una «Rivoluzione fallita», incapace di modernizzare il mondo, soprattutto mentale, delle masse italiane. Secondo Banti lo stile di Gobetti è «tranchant e i suoi giudizi sono senza appello». Quella del Gobetti, la lettura del risorgimento di Gobetti, è una tesi davvero particolareggiata, oggi da molti non condivisa, che del resto venne già ampiamente criticata da Adolfo Omodeo, che trasse tuttavia forza dal fatto che il suo autore, per queste idee, venne ucciso dai fascisti a soli 25 anni, privando sicuramente la cultura italiana di una mente brillante e di uno spirito libero e non conformista, e questo delitto può senza dubbio essere messo in conto al regime, insieme al delitto Matteotti, all’uccisione dei fratelli Rosselli e all’incarcerazione di tanti, fra cui è bene ricordare in primo luogo Antonio Gramsci, come uno dei momenti nei quali si è svelata la peggiore natura del fascismo, che in questo tradì immediatamente lo spirito del Risorgimento del quale si proclamava continuatore ed erede. Nel dopoguerra della Grande Guerra le due posizioni critiche che ebbero maggiore risonanza furono, però, quelle del liberale Benedetto Croce e del marxista Antonio Gramsci.
Le tesi di Croce furono espresse soprattutto nella sua “Storia d’Italia”, mentre quelle di Gramsci, elaborate durante i lunghi anni della detenzione nelle carceri fasciste e pubblicate solo nel dopoguerra, trovarono la loro espressione nei “Quaderni dal carcere”. La tesi di Croce era che il liberalismo italiano aveva saputo costituire un sistema di governo democratico ed efficiente, pur in presenza di problemi gravissimi sul piano politico ed economico. Per Croce, però, pur non essendo stati all’altezza del compito, i successori di quegli uomini nobili ed onesti che avevano costituito il nerbo dei governi della Destra storica avevano comunque saputo salvaguardare il sistema parlamentare fino allo scoppio della prima guerra mondiale: era stata la guerra a scardinare il sistema politico ed a rendere possibile, in tal modo, l’avvento del fascismo.
Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 18:35