Brecht in scena al Teatro Argentina

Di recente, è andato in scena, al Teatro Argentina di Roma, con Umberto Orsini nel ruolo di protagonista, lo spettacolo brechtiano, “La resistibile ascesa di Arturo UI”, per la regia di Claudio Longhi. Cast di eccezione, con attori “polimorfici” (cantanti, suonatori, ballerini, commessi di scena...), tra cui particolare risalto va attribuito alla voce baritonale di Luca Miletti, onnipresente dentro e fuori la scena, che carica a effetto la sua espressione demoniaca, annegandola nella biacca, come il “cattivo” Joker, nemico giurato di Batman l’eroe. La trama è nota: Brecht ridisegna la terribile parabola hitleriana della presa del potere in Germania (nonché dell’Anschluss), da parte del nazismo, che vince le elezioni e guadagna il potere assoluto, a seguito dell’incendio doloso del Reichstag e dell’esautorazione del Presidente Hindenburg.

Come responsabile dell’incendio, trovato seminudo sul posto, fu accusato un attivista comunista, cosa che permise a Hitler e Göring di arrestare ed eliminare i capi di quel partito, obbligando il Presidente della Repubblica a dichiarare lo stato di emergenza. L’opera è una metafora del lato oscuro del potere che, pare sentenziare Brecht, si nutre delle sue radici criminali, sempre presenti e sviluppate nell’inconscio collettivo, per porre le necessarie, solide basi di colore rosso-sangue, edificate “in progress”, nel corso della sua “resistibile” conquista. Ui (alias Hitler) è un piccolo criminale di borgata, attivo nella protezione di un particolare settore ortofrutticolo, quello dei “cavoli” (alimento di base del popolo tedesco, ma simbolo, altresì, dell’ottusità di massa, che scambia un mostro per un dio!). A partire da questo circolo ristretto (per Hitler, quello dei reduci di guerra), il racket di Ui si impadronisce, ben presto, del resto della città, andando, successivamente, ben oltre i confini di quartiere, grazie alla complicità del sindaco (alias Hindenburg) e alle manovre del “Trust” di finanzieri e imprenditori locali (alias i “Poteri forti” della grande borghesia e del capitalismo tedesco dell’epoca). Non mancano, poi, all’interno della sua banda di malavitosi, le guerre fratricide intestine (alias la “Notte dei lunghi coltelli” e il regolamento definitivo dei conti tra le SA di Röhm e le SS di Hitler), per accattivarsi i “favori” del Capo.

La scenografia è interamente occupata da una montagna di ceste monocolore di verdura, impilate con ordine, che fanno da gigantesche porte scorrevoli tra una scena e l’altra, in una sorta di “endiguement” verticale di separazione tra il fronte e il retro del palcoscenico. Quest’ultimo elemento rappresenta politicamente la compartimentazione, esistente tra la Germania degli anni ’30 e il resto del mondo, che non si curò del riarmo tedesco e delle politiche annessioniste di Hitler. La “Resistibile ascesa di Ui” è una parodia tragica di denuncia della pratica totalitaria dell’annientamento di qualsiasi forma di opposizione, costretta quest’ultima a cedere, con la violenza, le minacce e i soprusi, tutti gli spazi di democrazia, in cambio della propria sopravvivenza nelle catacombe della Storia. Il parallelismo Ui-Hitler non potrebbe essere più esplicito: il piccolo gangster di borgata (nella storia: il caporale Hitler), che conquista un’intera città-Stato, con la complicità di politici imbelli e di capitalisti senza scrupoli.

Vittima consapevole, incapace organizzare la propria ribellione, è un popolo di onesti bottegai, costretti a sottomettersi al monopolista Ui, che fissa al rialzo il prezzo delle merci, malgrado che la crisi del 1929 abbia creato decine di milioni di nuovi poveri. Per farlo, il “Boss” si avvale dell’impunità derivante dalle coperture offerte alle sue attività illegali da un potere giudiziario ossequiente e asservito (che, nella storia, rappresenta la pedissequa, acritica e complice applicazione delle leggi razziali, da parte dei Tribunali ordinari tedeschi). Anche l’Anschluss è molto ben rappresentato, attraverso una figura femminile, che prima si oppone (i sicari di Ui le uccidono il marito), ma che poi si concede senza riserve al nuovo dittatore. La scelta della regia, per rendere coinvolgente l’apparato ironico-drammatico della struttura del racconto brechtiano, è quella di rompere gli argini del palcoscenico, facendo debordare la compagnia di attori in operazioni ibride di mescolanza con il pubblico.

È così che strumenti musicali (molti attori sono cantanti-musicisti), voci, costumi e atmosfere surreali costruiscono un piccolo vortice lessicale, che polarizza l’attenzione degli spettatori. Attori che si affacciano ora dal loggione adiacente la scena, ora dilagando in ordine sparso in platea, con apparente rottura del copione, per cui il singolo personaggio si improvvisa ladro di soprabiti e di borse o, se femminile, entreneuse, sedendo provocatoriamente sulle ginocchia di illustri sconosciuti. Un perfetto Orsini (che alla fine assomiglierà in modo impressionante a Hitler, con la sua impeccabile giacca grigio chiaro), dà voce e sottile energia al piccolo criminale di quartiere, avvalendosi della complicità di una compagnia in totale sintonia con i suoi movimenti sulla scena. In definitiva, uno spettacolo da non perdere.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 18:31