Gianni Versace eroe degli anni '80

Il 25enne Gianni Versace lasciò il laboratorio di sua madre sarta e Reggio Calabria per emigrare a Milano, trovando lavoro come disegnatore d’abiti. Era il ’72, a Reggio scoppiavano 8 bombe sui binari che avrebbero dovuto portare manifestanti sindacali da tutt’Italia in città ed il sindacalista fascista Ciccio Franco otteneva nelle elezioni al Senato più del 36%. Due anni prima i suoi proclami avevano guidato l’insurrezione del popolo reggino contro il governo centrale. Versace si lascia tutto questo alle spalle, a 28 anni presenta la sua prima collezione di abiti in pelle, a 31 firma la sua prima collezione donna. La biografia, Gianni Versace, per Lindau 2012, scritta dal foggiano Tony Di Corcia passa con occhi sognanti sul cammino sempre più di successo dello stilista che vestì Madonna, Lady Diana e le ballerine di Béjart. 15 anni fa questo romanzo della moda italiana novecentesca si chiuse sugli scalini di Casa Casuarina, suntuosa villa di Miami Beach e abitazione dello stilista che vi venne assassinato dal tossico, serial killer e puttano Andrew Cunanan. 

Finale ad un tempo tragedia e agghiacciante reality. Nei primi ’90, la giustizia cercò, senza riuscirci, di dimostrare come i moti guidati da Franco, morto nel ’91, fossero organizzati d’accordo con la n’drangheta. Nel 2006 il sindaco reggino intitolò al simbolo della lotta al regime partitocratico, l’ex Arena dello Stretto, ora Anfiteatro Senatore Franco. Nel ‘93 Gianni in u’intervista a L’Espresso rivelò che lui e famiglia da un lustro avevano rotto con il Psi, erano felicissimi delle inchieste di Tangentopoli mentre veleggiavano verso D’Alema, Santo conferma anche se lo si trova deputato 15 anni dopo per diretta richiesta dell’amico Formigoni. Nel ’94, invece Ferrè e Armani, il cui fratello Sergio era uno dei migliori amici di Craxi, finirono nella tagliola di Mani Pulite. Ultimamente Giorgio ha protestato per lo stato d’abbandono in cui è ridotto il monumento a Pertini. Negli anni ’80, la famiglia, di tradizione socialista e la Versace spa, in orbita craxiana, erano passate dai 20 milioni di capitale alle centinaia poi ai 70 miliardi l’anno di budget, secondo Il Mondo. 

I giustizialisti ieri come oggi indicano nella moda uno dei luoghi deputati al riciclaggio ed all’evasione mondiale, proprio per la nebulosa di terzisti, ormai diffusi nel mondo, su cui basa la propria produzione. Dopo 2 volumi dedicati, ogni volta presentato con attenzione all’AltaRoma, Di Corcia è divenuto biografo ufficiale di Versace, approvato dai fratelli della maison, Donatella e Santo. In Gianni/Versace: lo stilista dal cuore elegante del 2010, 25 testimonianze di grandi firme, modelle, cantanti, ballerine, esperte di moda, imprenditori erano estatici ricordi poetici: un raggio di sole, un’epoca di folgorante bellezza, cuore elegante, pop e rivoluzionario, solare e affascinante, stella danzante di nitzchiana accezione. Il suo simbolo - la medusa - veniva affiancato a Majakovskij ed Euripide, ma forse era soprattutto uno scongiuro. L’ultima biografia è invece racconto, puntellato da foto inedite private e scatti d’autore, ma soprattutto dalla prefazione del monumento vivente Giorgio Armani, piacentino il cui brand personale si perde nei tempi clandestini del ’74. 

Il minimalista Giorgio chiarisce che ad essere onesti, assorti nel lavoro, (con Versace) non ci conoscevamo molto bene. Deve stare attento lo stilista che già una volta, per aver raccontato di una battuta di Versace, ha dovuto chiedere scusa alla sorella. L’occasione è ghiotta però per illuminarsi di luce reciproca. Eravamo curiosi di sapere l’uno dell’altro, e alla fine di ogni sfilata ci si domandava : “Cosa ha fatto Versace?” e “Cosa ha fatto Armani?”. Era così: Versace ed Armani sono eroi degli anni ’80, quando, al posto del terrorismo, arrivò il prêt-à-porter italiano a conquistare mondo, donne emancipate manager e la politica, eccitata dall’estro degli stilisti e dall’affrancamento nazionalista permesso dallo slogan madeinItaly. Sono eroi soprattutto dell’italianità apprezzata negli Usa che poi si riflette in tutto il mondo. Questa italianità ha poco a che vedere con il dibattito nostrano, perché è fatta dal clan italoamericano di Hollywood, Madonna, Lady Gaga, Tarantino e dai nostri stilisti. Si nutre della mitizzazione della mafia, del “fetish sessismo”, della bellezza incurante dei sentimenti, impersonata dalla prostituta. L’italianità si fonda con tutti gli elementi culturali di massa latino-ispanici, asiatici e afroamericani per mitigare gli aspetti bianchi, legalitari e pretestatamente democratici della Nation. 

Un made in italy che con il Doc di tradizione immaginato in Italia c’entra poco. L’enfasi su botteghe sartoriali reggine e Sud vale per l’inesistente meridionalismo costruito ad arte da chi considerava nei ’70 Armani e Versace erano vergogne della reazione. 

Il diavolo veste Prada, porta la canottiera Dolce e Gabbana ma poi beve il caffè Starbucks che mai avrebbe potuto macchiare la canotta proletaria di Ciccio Franco. Il mondo canta “Sii italiano, gentile, carezzevole mentre stringi le cosce”. L’invito è per il mondo. Non è un riconoscimento all’Italia. Nel mondo l’eroe dell’italianità è un negro tedesco. Non è importante se Armani sia Apollo e Versace, Dioniso. Sono due americani, conquistatori degli Usa, cioè del mondo del consumo. Armani, lieve, ricorda l’esuberanza felice che mescolava idee, tendenze, ricordi e arte del grande stilista collega. Inutile dire che non siano stati arroganti, stato spesso naturale per i grandi vincenti. Nell’AltaRoma chiusasi il 29, il libro è stato presentato da Renato Balestra, che da triestino ed ingegnere, rappresenta la moda capitolina. Opinionista, stravagante partecipe di show e reality, accademico a Pechino e Belgrado, Balestra ha dominato l’AltaRoma con il blu Balestra fiordaliso, lo speciale Be Blu Be Balestra ed il nuovo atelier liberty a Cola di Rienzo. La sua ideologia antisperimentale vuole la moda marinista trionfo solo di ricchi volumi di bellezza, sogno e visibilio di principesse, regine e first ladies. Balestra non è però l’America.

Puntuale, anche quest’anno lo stilista lamenta scarsa attenzione internazionale per l’evento romano. Per Santo Versace, Roma ha avuto i più belli atelier del mondo nella Dolce Vita ma oggi è la città della burocrazia. Sempre diretti i Versace.  Brutalmente fu Versace, l’uomo che travestiva le donne, a ispirare la vox populi, che vuole che Balestra vesta le principesse, Armani le signore e Versace le puttane. Dato il numero presente al mondo delle tre categorie, evidente a chi tocchi il palmares delle vendite, con buona pace dei processi di moralità e dei controlli pubblicitari; e con buona pace delle famiglie che da Gucci a Versace, hanno stretto le loro spire sul genio singolo imponendogli un selvaggio welfare familistico primigenio. Per dopo omaggiare l’arte per l’arte. Ridendo una voce avrebbe detto “Ed io vi travesto nelle zoccole che vorreste essere...” ed è solo l’eco di Dio(nisio) che veste Versace.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 18:26