Cinque mantidi a teatro

“Le Beatrici”.. dannate. Per la regia di Stefano Benni, la Sala Umberto di Roma ha messo in cartellone, dal 16 al 21 ottobre, lo spettacolo che prende il nome dal libro del regista/autore, pubblicato nella collana I Narratori di Feltrinelli. La sua galleria di personaggi femminili perversi si snoda su di un palcoscenico interamente spoglio, per la proiezione di una pellicola proibita dell’orrore gaudente e del cinismo vitale. I poveri, minimali arredi sono trasportati a braccia dalle cinque donne protagoniste, che agiscono simultaneamente da coro e da soliste “turniste”, suonando strumenti improvvisati, costruiti in modo elementare, come solo i bambini e i prigionieri di guerra sanno fare.

Le tre figure più giovani, La Beatrice, La Mocciosa e Suor Filomena, rappresentano altrettanti (energetizzanti) giovani Fiori del Male che, come mantidi o ammannite, attraggono a sé il maschio, per sedurlo e depredarlo dei suoi segni di dominio. Nel loro racconto di se stesse e del mondo, le parole si fanno magli, sbriciolano le certezze del pubblico e richiamano applausi a scena aperta, confusi con l’eco di risate liberatorie. Perché l’assurdo, come si sa, nutre lo spirito e libera endorfine. Inizia la Beatrice (Gisella Szaniszlò) più famosa della storia, ispiratrice della Divina Commedia, che sbertuccia il Vate, prendendosi gioco di quel suo nascondersi dietro le rime, quasi a dissimulare un deficit presunto di virilità. Beatrice, nella versione “laida” e puttanesca di Benni è, in realtà, una falsa perbenista, che si accontenta di uomo meno giovane, pur di non rimanere zitella a.. vent’anni! In attesa che il suo maturo spasimante si decida, lei rincorre nelle piazze di Firenze il suo mito fisico dalle spalle robuste, centroavanti dell’antico gioco del calcio fiorentino. Dante, nella sua visione cinica e fornicante, è un allocco, un perfetto vanitoso alla ricerca del senso di sé, più che di un vero rapporto d’amore. Per lui, in fondo, che sembra preferire rapporti carnali a buon mercato -piuttosto che una lunga attesa per cogliere il frutto vergineo dei suoi cantici (ai quali fa il verso la Beatrice dissacrante), l’ideale femminile altro non è che il proprio riflesso narcisistico in versi. La protagonista successiva, “La mocciosa” Angie (Alice Redini), nel suo gergo misto punk, giustifica la sua coetanea “Fede” - una sottospecie di Erika De Nardo - che, vistasi negare i soldi per le “extension” dal parrucchiere, massacra la madre (con figlio down!) con “87 coltellate” - tante quante i modelli delle “Winx”- colpevole di non volersi far tagliarle i capelli, in cambio del suo rifiuto! Con il suo vestitino ultracorto e i piercing a pioggia, l’adolescente Angie è una tragicomica Barbie animata, golosa di gossip e reality, sotto ipnosi permanente di gadget, Grandi Firme e lucchetti d’amore, che fioriscono e appassiscono sui pali dei marciapiedi. La sua è la cultura delle “Winx” e dei “Gormiti”, della cui esistenza l’umanità che lavora e produce ignora tutto, mentre un’adolescenza sempre più decerebrata ne fa una ragione di vita, a gloria e lode del “Nulla che avanza”. Il racconto scorre in un linguaggio fumettistico dadaistico a tinte fosche, confuso con le luci violente da discoteca, tanto che la Fede, consumato il matricidio, le chiede preoccupata al telefono: «Secondo te le orfane cuccano di più?» (cuccare = rimorchiare).

E, poi, Valentina Virando nel ruolo di Suor Filomena (che si presenta così: «son buona e cristiana, ma se non preghi e stai in campana, Suor Filomena ti mena... AMEN, anagramma di MENA»), indemoniata persa ma, in fondo, felice di esserlo, perché attinge al piacere dentro l’acqua santiera. E Satana, il suo ventriloquo immondo e ilare, ne utilizza il corpo per rime sconce e per l’esibizione di bassi istinti sessuali. Novello Don Camillo in gonnella, Filomena va in giro con un rosario contundente, dove i grani son palle di bowling, per meglio mazziare gli sfortunati “fedeli”. Una suora molto spretata, strangolata nell’abito talare, che avrebbe voluto fare la ballerina, ma è costretta ad alzarsi alle quattro del mattino di tutti i giorni per dire il rosario: non potendo avere “dentro” un uomo vero, tollera che vi soggiorni Belzebù, che rimane un Male Assoluto soltanto “virtuale”. Geniale, no? E che dire della Tiger-lady (impersonata da Elisa Marinoni), altra figura della galleria, donna cinica in carriera, in simbiosi con il suo “telefono bianco”? Una sorta di soggetto “purgativo” (nel senso che, grazie al potere, ha “evacuato” da se ogni forma di sentimento e di sentimentalismo), alle prese con una lunga lista di raccomandati e incapaci che, grazie agli amici degli amici, prenderanno il posto dei bravi e dei talentuosi nel telemondo in cui siamo immersi dall’alba al tramonto, di ogni giorno della nostra vita. Infine, la bravissima Valentina Chico, alla quale è assegnata la recitazione, profonda e tranquilla, dell’Attesa, in tutte le espressioni della femminilità partecipata (madre, amante, figlia, sorella..). Poi un saggio finale collettivo, con le “Licantrope” mangia uomini, ricoperte di peluria sul corpo, tranne che nel cuore, come accade alla maggior parte dei diversi! Uno spettacolo da non perdere.

Aggiornato il 01 aprile 2017 alle ore 15:34