Carceri: avvocati verso lo sciopero

«Una prepotente urgenza». Umanitaria, costituzionale, di sopravvivenza. Dopo i 112 morti del 2012, le carceri italiane sono diventate questo. E meritano non solo le esternazioni, sia pure non rituali, come si ostina a rilevare Marco Pannella, del capo dello Stato, che preferisce i discorsi pubblici ai messaggi alle due Camere in materia di amnistia e dintorni, ma anche una giornata di sciopero che l’Unione delle camere penali, in una delle mozioni approvate al congresso di Trieste chiusosi domenica con la riconferma a presidente dell’avvocato Valerio Spigarelli, deciderà come e quando indire.

La mozione in questione in realtà era stata proposta dalla camera penale di Napoli, e approvata poi all’unanimità da tutte le altre. In essa si ricordavano dapprima i numeri più o meno aggiornati del sovraffollamento penitenziario: 66.973 presenze a fronte delle poco più di 45 mila tollerabili, con un sovraffollamento dichiarato di 21.688 unità su tutto il territorio italiano. Di questi detenuti circa il 40 per cento, pari a 25.827 persone, sono in attesa di giudizio. Più precisamente 13.854 in attesa del primo grado, 7.343 dell’appello e 4.630 della Cassazione. Poi veniva sottolineata la mancata funzione rieducativa delle patrie galere bellamente data per scontata da tutti alla faccia della Costituzione e del suo articolo 27: la media è un educatore ogni mille detenuti. Cioè una cosa ridicola.

Solo che adesso è in gioco un altro più importante diritto costituzionale per il quale stiamo diventando il condannato numero uno d’Europa, un vero e proprio paese pluripregiudicato del reato di tortura, ancorché da noi finora prudentemente non adottato: il diritto alla salute del cittadino. Detenuto o libero che sia. La situazione descritta è questa: i detenuti vivono in spazi che non corrispondono a quelli minimi vitali, con una riduzione della mobilità che è causa di patologie specifiche. In alcuni istituti, si dorme su letti a castello a tre ed anche a quattro piani e spesso manca lo spazio materiale per scendere dal letto, vi è spesso un bagno comune, nella stessa cella, sprovvisto di porta, a volte i detenuti dormono a terra, perché non vi sono più letti.

Proprio ieri, guarda caso, a proposito dell’amnistia che i radicali di Pannella e Bernardini chiedono con forza e senza infingimenti e calcoli preelettorali, si è pronunziato persino il ministro Andrea Riccardi, strigliando e sollecitando i propri colleghi di governo ad assumersi la responsabilità di dare corpo loro stessi a un progetto di legge di clemenza invece che di rifugiarsi sempre dietro le gonnelle del capo dello stato e le sue iniziative. Come si diceva nelle carceri c’è una sorta di pena di morte indiretta data dal fatto solo di transitarvi e senza distinzione di reati e di gravità degli stessi: l’indice di mortalità è da alcuni anni impressionante, con un decesso ogni due giorni. Al 10 settembre 2012 ci sono stati 112 morti. E i suicidi, che non si contano più, si sono allargati “per simpatia”, cioè quel principio per cui due corde di uno strumento finiscono per suonare assieme, agli agenti di custodia e al personale direttivo dei penitenziari. La perdita di dignità è la causa principale dei suicidi che, dall’inizio dell’anno, sono stati 40 (dato al 10 settembre), con una media di un suicidio ogni 5 giorni.

Gli atti di autolesionismo registrati sono stati migliaia e almeno ogni mese gli agenti di custodia sventano una cinquantina di altri possibili suicidi. Inoltre i rapporti tra i detenuti e la famiglia sono, di fatto, annullati. Un’ora di colloquio a settimana, svolto spesso in condizioni tali da non consentire una relazione affettiva. Da ultimo, ma non per ultimo, il principio della territorialità della pena è spesso ignorato, impedendo, di fatto, ogni rapporto proprio con la famiglia. Oramai una persona incarcerata a Roma può venire sbattuta a Udine o viceversa solo per esigenze di capienza numerica. Rispetto a ciò che ha fatto la politica? Da gennaio 2010, cioè da circa tre anni, è stato proclamato lo “stato di emergenza” per il sistema penitenziario, senza che siano stati emanati significativi e concreti provvedimenti affinché tale stato cessasse. Ora con il governo tecnico il problema si ripete. Infatti, ancora una volta la discussione in Parlamento del disegno di legge su messa alla prova e misure alternative al carcere, prevista nei giorni scorsi, è stata rinviata a data da destinarsi.

Tutto ciò spiega perché nel congresso dell’Unione delle Camere penali appena conclusosi a Trieste, anche se si è parlato di moltissimi altri problemi, come la terzietà del giudice, la separazione delle carriere, il problema della depenalizzazione dei reati minori, la follia della legge ex Cirielli sulla recidiva e di quelle sull’immigrazione e sulla droga, nonché di intercettazioni, responsabilità civile del magistrato e del troppo protagonismo politico di alcuni soggetti della pubblica accusa, tutti temi puntualmente sottolineati nella relazione di Spigarelli, la parte del leone del “cahier de doleances” non poteva che essere riservato alle carceri. C’è stata anche una specie di performance teatrale in cui alcuni avvocati sono stati volontariamente dento una gabbia di due metri per tre per simulare la vita in una cella 24 ore su 24. Non è mancata un’appassionata arringa di Marco Pannella, tutta volta a rilanciare la parola  dell’amnistia subito e dell’appello al capo dello stato perchè metta nero su bianco il tutto in un messaggio alle camere così come previsto dalla Costituzione, visto che nella funzione presidenziale è valido più che mai il motto latino “scripta manent” contrapposto all’altro stranoto “verba volant”.

Per questo le Camere Penali, constatato che la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo continua a stigmatizzare i trattamenti disumani e degradanti a cui sono sottoposti i detenuti in Italia, hanno deciso di cavalcare la situazione carceraria come pietra dello scandalo di una protesta che porterà all’astensione delle udienze. La politica italiana, divisa tra scandali, corruzione e legge sulla stessa, soldi pubblici fagocitati e timore di finire in galera, continua a fare orecchie da mercante. A qualcuno viene pure in mente che non si vogliano svuotare le galere dai tanti poveri cristi che vi alloggiano per timore che si crei spazio per accogliere i grassatori del denaro pubblico. Regionale, provinciale, comunale o statale che sia.

Aggiornato il 01 aprile 2017 alle ore 15:21