Venezia celebra l'India e dimentica i marò

L’incredibile Italia ha aperto il suo più importante festival cinematografico a Venezia, il 29 agosto. Ha scelto per l’overture un film particolare dell’indiana Mira Nair. L’incredibile India nelle stesse ore stava procedendo all’ennesimo passaggio farsa della tragedia e della prigionia vissuta da due militari italiani, i marò Massimiliano Latorre e Salvatore Girone.

Solo questa coincidenza misura tutta l’ottusità, l’insensibilità, l’assoluta negazione di attenzione alla propria patria ed alle istituzioni nazionali ed internazionali, del direttore della 69ª Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica Alberto Barbera. In un paese che misura con il bilancino le parole di Conte o De Laurentis, offesi dall’ingiustizia sportiva in tribunale e sul campo, in un paese che sta dietro ai sermoni di questo o di quell’altro, in un paese che ha vissuto anni con enormi gigantografie di donne straniere perseguite dalla giustizia e dalla cultura dei loro paesi, la coincidenza di esaltare l’esponente culturale di un paese mentre questo strazia la giustizia internazionale ed i nostri uomini ha dell’incredibile.

Tornare sul caso dei due marò italiani, sequestrati, e non legittamente arrestati, dalle autorità indiane da febbraio, sarà inutile per i nostri vertici sordi e muti, ma non lo è per chi ha a cuore non la legalità, ma la semplice convivenza internazionale. Nel sequestro di Latorre e Girone è stato violato il codice sulle acque internazionali, quello militare internazionale, quello interno all’Alleanza Atlantica, quello sulla lotta internazionale alla pirateria.

Perché Latorre e Girone sono stati sequestrati non mentre sostenevano gli interessi privati di una Ong, di una chiesa, di una Greenpeace, nemmeno di servizi impegnati a destabilizzare altrui regimi e nemmeno quelli nazionali italiani. Sono stati sequestrati come Nuclei Militari di Protezione antipirateria, Nmp, (Lg.130\2011), inseriti nei programmi Onu di lotta ai banditi del mare che oggi regnano sovrani su pezzi degli oceani, tra cui quello indiano, con un fatturato da $250 milioni. Una pirateria marittima che impegna risorse militari di polizia internazionale dieci volte e più elevate.

Si pensi che solo la missione navale Atalanta Ue al largo del Corno d’Africa costa €720 milioni l’anno e che la crisi ha visto il suo ridursi da 8 a 3 unità navali nazionali. A maggio l’europarlamento ha approvato con 434 voti favorevoli, e 100 contrari la risoluzione antipirateria, che ribadisce per l’iniziativa di Carlo Fidanza e Roberta Angelilli, (Pdl) al paragrafo 30, la giurisdizione competente in alto mare dello Stato battente bandiera la nave.

Dall’India alla Somalia, i paesi rivieraschi godono di questa spesa e impegno militare, per poi sottrarsi ad ogni coinvolgimento economico e giuridico anche per una colpevole protezione dell’ampia zona grigia su cui può contare la pirateria tra i pescatori. L’India, però, emergente potenza dell’acciaio, informatica e cinematografica evidenzia qui una doppia faccia di arretratezza e barbarie.

Latorre e Girone sono come i militari feriti (tre solo l’altro giorno) nelle operazioni di peace keeping sparse per il mondo: parte di quello sforzo enorme economico e di sangue che l’Italia paga al mondo. I tartassati italiani, spremuti dai salari più bassi e dalle tasse più alte, lo devono sapere che sono loro a pagare l’Europa, più di quanto non ne vengano ricompensati. E così per un lungo elenco, per l’Fmi, la World Bank, l’Onu, la Nato, e via di questo passo.

Sinceramente a molti, forse ai più, interessa poco che altri vogliano lapidare, impiccare, uccidere le loro donne e le loro minoranze. Interessano molto poco anche le sorti di chi per turismo suspence o buon cuore, vada di propria volontà nelle aree più infuocate del mondo. Scoccia dover pagare tutti decine di milioni. Interessa moltissimo invece che i paesi usufruenti dell’aiuto con ipocrite spalluccie e senza spese almeno non diventino banditi loro stessi per accarezzare la demagogia di un loro stato federale, comunista e antioccidentale come l’indiano Kerala.

Ad un bravo bevitore di cocktail, ottimo golfista, sagace battutista come il ministro degli esteri Giulio Terzi non verrà in mente di fare niente. Ovvio: è l’esponente di una diplomazia di carriera, costosa, inutile, arrogante che dal dopoguerra in poi è stata sempre sostituita, per evidente assenteismo mentale, dai politici ogni volta che c’era qualcosa da fare. La sanatoria per la pena di morte nel mondo e i tribunali anti ex-premier vinti, nemmeno questo hanno fatto, sostituiti dal gruppetto radicale.

I radicali, questi fanatici della legalità, del foglio bollato piegato,degli arrestati altrui, cosa hanno da dire sull’habeas corpus dei fanti del Reggimento San Marco? Non sono in prigione? Niente sciopero della fame? La Nato si è chiamata fuori? L’Italia può rifiutarsi di compare gli arei F-35, da 13 miliardi. Può ritirare parte dei contingenti e le unità navali antipirati.

Può censurare la regista Mira Nair un’indiana che vive a New York dal 1975, che conosce più gli immigrati cubani negli Usa che il suo paese. Ci presenta un film sull’indignazione di un pakistano americano sotto pressione per l’11 settembre. La Nair se la immagina un reazione così nel 1946 da parte tedesca dipinta per 30 anni come belzebù anche nel suo paese d’origine? L’autrice di Salaam Bombay! ed ora de Il fondamentalista riluttante lo sa che nel suo paese non sono riluttanti a massacrare folle di cristiani, né che i pakistani sotto sotto sostengono terrorismo e cultura dell’oppio dell’Afghanistan vicino?

Certo, sono paesi arretrati, non è colpa loro. Ce lo dica allora la Nair, che viene da un paese un po’ capitalismo un po’ medioevo che ha rifiutato per la più comoda Mela. Invece che meravigliarsi delle attenzioni godute da indiani e simili negli aereoporti, chieda scusa a Latorre e Girone. A parte le dimissioni, non c’è nulla invece che l’italiano riluttante anche solo di vederlo, abbia da chiedere a Barbera.

Aggiornato il 01 aprile 2017 alle ore 15:29