Quelle americanate antiamericane

La lotta al terrorismo sostanzialmente è un pretesto per controllare le menti e i corpi delle persone. E l’eredità dei film con Matt Damon della serie “Bourne”, a cominciare dall’ultimo, The Bourne Legacy, che la Universal manderà in tutte le calde sale di fine estate a cominciare dal 7 settembre, è la consueta americanata anti americana. In cui la Cia è sempre dipinta come un servizio deviato, al soldo delle multinazionali farmaceutiche che sperimentano virus per rendere gli uomini sotto controllo del potere, salvo eliminare le cavie una ad una quando gli scienziati pazzi sono andati un po’ troppo oltre. 

Vista dal punto di vista di Fantozzi, The Bourne legacy, in cui Matt Damon compare solo in foto (pur non escludendo di tornare nel prossimo episodio), non è definibile una boiata pazzesca perché l’azione in circa due ore di pellicola non manca di certo. Come non mancano omicidi anche seriali in laboratorio e fughe improbabili in moto da cross per le strade di Manila. Per la cronaca la produzione del film è stata alquanto travagliata: dopo la dichiarazione di Paul Greengrass di non voler dirigere un ulteriore capitolo della saga, c’è stato infatti l’abbandono del protagonista Matt Damon. In seguito, mentre la direzione è stata affidata a Tony Gilroy, già sceneggiatore degli episodi precedenti e quindi profondo conoscitore delle ambientazioni della storia, il ruolo principale è stato offerto a Jeremy Renner, che interpreta tuttavia un personaggio diverso nettamente da quello di Jason Bourne.

Non è dato sapere se Matt avesse una sorta di royalty su Bourne ma tant’è. 

Il film di film di Tony Gilroy, benchè abbia nel cast Jeremy Renner, Edward Norton, Rachel Weisz, Albert Finney, Joan Allen, risente più del previsto della mancanza di Damon. Sempre evocato nella trama, dato per presente a New York, ma ritratto solo in fotine formato tessera inquadrate per qualche manciata di secondi.

La furbata in The Bourne Legacy, Renner unisce i veterani della serie nei loro storici ruoli (Albert Finney, Joan Allen, David Strathairn e Scott Glenn) a nuovi membri del cast come Rachel Weisz, Edward Norton, Stacy Keach e Oscar Isaac.

In questa pellicola viene introdotto un nuovo personaggio, simile a Jason Bourne, che lavora per la Treadstone, la compagnia che si occupa di fare il lavaggio del cervello agli agenti per creare degli assassini da manipolare, simili a delle macchine.

In questo modo è stato lasciato uno spazio aperto per Matt Damon e Paul Greengrass per tornare, rispettivamente, a vestire in futuro i panni di Jason Bourne e dirigere un nuovo film. 

Ma la vera domanda da porsi è un’altra: vale la pena continuare con il filone? 

Se leggiamo cosa ha detto a un noto blogger lo stesso Damon c’è da mettersi le mani nei capelli: «Sai, se avessero un buon copione, mi piacerebbe molto. Paul ed io abbiamo parlato della possibilità farne un altro per anni. Ci siamo andati molto vicini per un sacco di temo. Ma non abbiamo mai trovato una storia, un’intreccio, che pensassimo essere a malapena passabile. Se ci fossero gli ingredienti giusti, noi lo faremmo, e ci piacerebbe metterci in moto in un secondo. Noi amiamo il personaggio, amiamo quel mondo. Insomma non vogliamo rimetterci in pista dicendo “Ragazzi adesso gli diamo un aggiustatina e partiamo”. Perché vorrebbe dire gettare a mare un anno delle nostre vite. Nell’ultimo film è stata davvero molto dura. Non avevamo una sceneggiatura ben definita e stavamo girando una pellicola  che aveva dei tempi di realizzazione sincopati e sarebbe dovuta uscire in fretta. E con il budget a disposizione era davvero terrificante e stressante e non c’era motivo di farlo. Se c’è un grande film da fare, lo si capisce in anticipo. Ma nessuno è mai venuto davanti da noi con una sceneggiatura strepitosa, quindi vedremo. Voglio dire che voglio farlo, ma staremo a vedere. Staremo a vedere cosa succede. Tuttavia scommetto che “Legacy” sarà comunque un grande successo»

In realtà in questa cinica intervista non solo Matt Damon condanna a morte The Bourne legacy ancora prima che il notaio apra il testamento spirituale dei suoi vecchi film, ma esclude a priori che si possa continuare all’infinito con un sequel o anche con un prequel che mostrerebbero entrambi la corda. Una corda cui si rischia di impiccare l’incolpevole spettatore di qua e di là dell’oceano Atlantico. Comunque un danno le varie guerre al terrorismo, alla droga, alla mafia e a quant’altro lo hanno veramente fatto ed è per l’appunto quello di spingere l’immaginario cinematografico mondiale in generale e americano in particolare sul sentiero scosceso del sensazionalismo catastrofista. Per di più condito in salsa complottista e vagamente anti-occidentale. Ciò che nemmeno i peggiori frequentatori dei siti come Indymedia oserebbero scrivere in un semplice post , al cinema è una verità assodata. E l’istituzione in America si dà per scontato, almeno a Hollywood, che debba essere rappresentata come nemica della popolazione.

Aggiornato il 01 aprile 2017 alle ore 15:23