I liberali Cesare e Roberto D'Azeglio

Cesare Taparelli marchese di Azeglio nacque a Torino nel 1763. Ebbe otto figli da Cristina Morozzo, ma solo tre sopravvissero: Roberto, il primogenito, convinto patriota liberale, Luigi, che divenne gesuita, e Massimo, il più famoso, che presiedette per ben due volte il governo piemontese. Il loro vero cognome è Taparelli, ma sono, tutti e quattro, più  conosciuti con il titolo nobiliare d’Azeglio.

Il padre e i tre figli hanno tutti avuto un ruolo non secondario nella vita del loro tempo, ma da posizioni spesso contrapposte.  Il padre Cesare e Luigi hanno inizialmente professato idee liberali, ma, dopo, hanno aderito al fronte conservatore; Roberto e Massimo, invece, hanno sempre aderito al fronte progressista liberale, anche se con sfumature diverse.  Di Luigi e Massimo d’Azeglio parleremo nella prossima puntata di questa carrellata di cattolici liberali italiani.

Cesare, da giovane, si iscrisse all’associazione “Amicizia Cristiana” fondata a Torino nel 1775.   L’associazione aveva come finalità di opporsi al giansenismo, considerato eversivo dei principii religiosi. Gli iscritti si proponevano soprattutto la diffusione, mediante libri, del pensiero cristiano. 

La dottrina teologica del giansenismo era stata formulata dal vescovo Giansenio nei primi decenni del 1600;  sosteneva che l’uomo nascendo, a causa del peccato originale, era corrotto e quindi destinato necessariamente a fare il male, per cui senza la grazia, l’uomo non poteva che peccare.  Contro questa morale rigorista dei giansenisti, “Amicizia Cristiana” opponeva la dottrina del probabilismo, improntata a S. Alfonso de’ Liguori.

Era il periodo della Rivoluzione Francese e dell’impero napoleonico: il Piemonte veniva annesso alla Francia per cui il re dovette rifugiarsi in Sardegna (1799) e il d’Azeglio, con moglie e figli, si trasferì a Firenze.

A Firenze fu, prima, promotore e, poi, direttore de L’Ape, il mensile cattolico che aveva per sottotitolo: «Scelta di opuscoli letterari e morali estratti per lo più da fogli periodici oltramontani». Erano soprattutto scritti che s’ispiravano al cattolicesimo liberale francese, fra cui De Maistre e il primo de Lamennais, nei quali si evidenziava, contro i giansenisti, il primato del papa.

Costretto il d’Azeglio, da un decreto francese, a ritornare a Torino, si fece ispiratore dell’ “Accademia dei Concordi” che aveva come obiettivo di fomentare il patriottismo piemontese contro la Francia, ma che, poi, dopo il 1814, evolverà in senso liberale. 

Dopo il Congresso di Vienna, Vittorio Emanuele I designò Cesare d’Azeglio come inviato straordinario a Roma presso papa Pio VII.  Fu qui che si ebbe un cambiamento verso posizioni conservatrici, nella concezione politico-religiosa di Cesare d’Azeglio.

Emersero subito, infatti, i contrasti giurisdizionali tra la Chiesa e lo Stato piemontese che voleva affermare la tradizione regalista della Corte sabauda.  Il d’Azeglio, formato alle idee ultramontane e sostenendo le prerogative del Papato, per coerenza, presentò le sue dimissioni.  Alla Corte di Torino questo atto fu giudicato negativamente e non gli fu più assegnato nessun incarico di prestigio. Intanto, nel 1817 l’associazione “Amicizia Cristiana” si ricostituiva come “Amicizia Cattolica”.  Il d’Azeglio vi si impegnò in pieno.

Scoppiati i moti del 1821, Cesare d’Azeglio, che era legato da un rapporto diretto con il re, ne fu molto addolorato perchè ai moti aveva partecipato anche il proprio figlio primogenito, Roberto, giovane ufficiale della cavalleria piemontese.

”Amicizia Cattolica“ aveva un rapido sviluppo, anche fuori del Piemonte, sostenuto, fra l’altro, dai ricavati delle vendite dei libri che essa editava.  Ma la professione del primato del papa, originato dall’adesione all’ultramontanismo, fece irrigidire ulteriormente le posizioni conservatrici di “Amicizia Cattolica” e di Cesare d’Azeglio.  Si arrivò anche ad attaccare chi tentava un compromesso tra cattolicesimo e liberalismo.  E fu proprio la difesa che “Amicizia Cattolica“ faceva del classicismo, in opposizione al romanticismo, che spinse Alessandro Manzoni a scrivere la sua famosa “Lettera sul Romanticismo“ (1823).   

L’attività editoriale facilitò a Cesare d’Azeglio relazioni e rapporti con i maggiori rappresentanti del mondo cattolico in Italia e in Europa.  Fra gli incontri vi furono quelli con de Lamennais (nel 1824 e nel 1828), il più prestigioso esponente del liberalismo cattolico francese.  Ma quando, essendo già morto il d’Azeglio, uscirà l’Enciclica “Mirari Vos” (1832) e il de Lamennais piglierà le sue distanze da Roma, le opere di de Lamennais saranno tolte dal catalogo dei libri propagandati.

Intanto contro “Amicizia Cattolica“ fu lanciata l’accusa che, sotto il pretesto della religione, si tendeva a conquistare il potere politico.  Si disse anche che era lassista, dato che “Amicizia Cattolica“, in morale, difendeva il probabilismo di S. Alfonso de’ Liguori.  Spinto da queste pressioni, il re Carlo Felice, agli inizi del 1828, decise di chiedere ad “Amicizia Cattolica“ di cambiare nome e di non occuparsi più di problematiche politiche.  Dopo un primo rifiuto, gli iscritti decisero di sciogliersi (giugno 1828).  I dispiaceri per lo scioglimento di “Amicizia Cattolica“ accelerarono la fine del già stanco Cesare d’Azeglio.  Morì a Genova il 26 novembre 1830. 

***

Il figlio primogenito di Cesare d’Azeglio, Roberto, era un ventiquattrenne ufficiale di cavalleria quando sposò la ventiduenne Costanza, figlia del marchese Alfieri. Erano, ambedue, convinti patrioti, di idee liberali. Fin dall’inizio della loro vita matrimoniale, si trovarono a dover contrastare le resistenze dell’ambiente conservatore che era attorno a loro.

Benché il marchese Cesare d’Azeglio fosse contrario, essi accoglievano nel proprio salotto i patrioti liberali che aspiravano ad una monarchia costituzionale sul modello di quella spagnola del 1812 e che saranno tra i fautori dei moti del 1821.

Scoppianti i moti del 1821, a Torino una parte dell’esercito insorse. Nella repressione anche Roberto venne coinvolto. Così Roberto, accompagnato dalla moglie Costanza, lasciò Torino. I due andarono in esilio a Parigi.

Ritornati a Torino (1826), Roberto e Costanza continuarono ad avere contatti con i patrioti liberali. Intanto, nel 1832, Roberto, per la sua competenza e le sue pubblicazioni, veniva nominato Direttore della Regia Pinacoteca, carica che manterrà fino al 1854, ed iniziò a scrivere la monumentale opera “Reale Galleria Illustrata”.

Il loro salotto, nella Torino sabauda, continuava ad essere frequentato da tanti patrioti, fra cui Silvio Pellico e lo stesso Cavour.  Quando Carlo Alberto, nel 1842, concesse l’amnistia ai “ventunisti” (cioè quelli coinvolti nei moti del 1821), anche questi furono accolti da loro e così vennero ulteriormente allargati i contatti con i patrioti liberali.  Allo scoppio delle Cinque Giornate di Milano (1848), Roberto e Costanza fecero opera di persuasione affinché il Piemonte intervenisse contro l’Austria.

Poco dopo Roberto veniva eletto Consigliere comunale di Torino, nonché nominato al Senato del Regno di Sardegna, fin dalla sua istituzione (1848), ricoprendo l’incarico di Questore per parecchi anni.

Schiettamente liberale, Roberto, in occasione della concessione dello Statuto, fu uno dei più convinti sostenitori della libertà religiosa e s’impegnò energicamente affinché fossero riconosciuti anche i diritti delle minoranze, cioè degli Ebrei e dei Valdesi.  Si adoperò, pure, con munifiche donazioni, nel sostenere la Società Operaia di Torino.

Scoppiata la seconda guerra d’indipendenza, durante tutto il periodo dei combattimenti, Roberto e Costanza organizzarono, a loro spese, un ospedale per l’assistenza ai volontari feriti, sia italiani che francesi (il Governo francese conferirà loro, in segno di riconoscenza, una medaglia d’oro).

Costanza, considerata una delle donne più colte e più patriottiche dell’aristocrazia piemontese, morirà nell’aprile 1862 e Roberto lo seguirà, pochi mesi dopo, nel dicembre dello stesso anno.

Le precedenti puntate: il 10 e il 24 giugno; l’8 luglio 2012 

Aggiornato il 01 aprile 2017 alle ore 15:35