L'illusione di un Iran pacificatore

Quando ho letto la prima volta il titolo del numero di luglio/agosto 2012 di Foreign Affairs: «Perché l’Iran dovrebbe avere l’atomica», ho pensato che ci fosse un errore di battitura. Sicuramente volevano scrivere: «Perché l’Iran NON dovrebbe avere l’atomica». Ma poi mi sono ricordato che questa rivista bimestrale non è nota per gli errori di battitura, né del resto, per l’ironia. Al contrario, questa è probabilmente la pubblicazione più influente e autorevole del mondo in materia di politica estera.

L’autore di questo saggio in particolare, Kenneth Waltz, è una persona in gamba. È un preminente studioso e un fondatore della scuola neorealista nella teoria delle relazioni internazionali. Così mi sono applicato alla lettura del pezzo, ansioso di vedere se la mia preoccupazione personale di lunga data circa la bomba iraniana fosse probabilmente fuori luogo. Sono rimasto sbalordito da quello che ho letto.

Qui ci sono alcuni frammenti scelti: «La maggior parte dei commentatori e dei politici di Stati Uniti, Europa e Israele, avvertono che un Iran dotato di armi nucleari sarebbe il peggior risultato possibile della situazione di stallo attuale. In realtà, sarebbe probabilmente il miglior risultato possibile: quello che avrebbe le maggiori probabilità di ripristinare la stabilità nel Medio Oriente».

«Un’altra preoccupazione molto propagandata è che se l’Iran si dotasse della bomba, gli altri stati della regione lo seguirebbero, portando ad una corsa agli armamenti nucleari in Medio Oriente... Se l’Iran dovesse diventare la seconda potenza nucleare del Medio Oriente dal 1945, questo segnerebbe l’inizio di una frana... Nessun altro paese della regione avrà un incentivo ad acquisire una sua capacità nucleare, e le crisi attuali finalmente si dissolverebbero, portando ad un Medio Oriente più stabile di quello che è oggi». «La diplomazia tra l’Iran e le grandi potenze deve continuare... Ma le attuali sanzioni contro l’Iran possono essere eliminate: esse danneggiano i semplici cittadini iraniani in primo luogo, con scarsi risultati». E poi c’è la conclusione di Waltz: «Quando si tratta di armi nucleari, ora come sempre, se sono di più, è meglio». 

In sostanza, Waltz costruisce le sue argomentazioni su due pilastri. In primo luogo, egli sostiene che il problema centrale in Medio Oriente è l’arsenale nucleare di Israele, che deve essere bilanciato da un altro potere, in questo caso l’Iran. E in secondo luogo, egli ritiene che tale equilibrio possa intrinsecamente stabilizzare la situazione, in tal modo riducendo, non aumentando, il rischio di conflitti.

Non potrebbe sbagliarsi di più riguardo all’Iran. L’Iran non si adatta al modello teorico, tratto dalla sua ricerca storica, che egli cerca di adattare al soggetto, e le conseguenze di questo fraintendimento possono essere profonde. In primo luogo, Waltz dichiara che i leader iraniani sono razionali, e quindi non c’è bisogno di preoccuparsi di una bomba nucleare nelle loro mani.

Davvero? Solo perché Waltz li ritiene essere attori affidabili che, secondo lui, si comporteranno come gli altri moderati in possesso di una bomba nucleare (categoria che comprende anche gli uomini forti della Corea del Nord?), possiamo tutti tornare a casa e farci una bella dormita? La loro escatologia sciita, incentrata sull’affrettare la venuta dell’Imam Nascosto, non deve essere presa in considerazione, come se non ci fosse posto per l’ideologia di uno Stato nella discussione?

A proposito, è possibile che la loro visione della “fine dei giorni” potrebbe essere accelerata da un mondo senza Israele? Dopo tutto, l’ex presidente iraniano Akbar Hashemi Rafsanjani, ha notoriamente dichiarato: «L’uso di anche una sola bomba nucleare all’interno di Israele potrebbe distruggere tutto». Potrebbe mai questo tipo di pensiero sorgere nella mente dei leader iraniani, che vivono in un bozzolo auto-imposto, e magari concludere che il rischio potrebbe valere la candela? Il loro reclutamento di giovani ragazzi iraniani utilizzati come simil-bombe umane durante gli otto anni di guerra contro l’Iraq, armati solo di chiavi di plastica per entrare in “paradiso” dove li attendevano 72 vergini, era il comportamento di un governo “razionale”? Il complotto per far saltare in aria un ristorante di Washington e uccidere l’ambasciatore saudita negli Stati Uniti, era il pensiero di un regime prevedibile?

In secondo luogo, la fiducia di Waltz nella non caduta di quella “valanga” di proliferazione nucleare in Medio Oriente, causata da un Iran nucleare, è smentita dai fatti. Egli ignora totalmente il contesto regionale. Non fa alcuna menzione della rivalità tra sciiti e sunniti, di importanza cruciale. Egli inspiegabilmente non nota il panico nei paesi arabi vicini, documentata in WikiLeaks e altrove, circa la prospettiva di una bomba nucleare iraniana. È concepibile che l’Arabia Saudita, gli Emirati Arabi Uniti, e, del resto, la Turchia, si siedano a guardare il vicino Iran diventare una potenza nucleare senza reagire opportunamente, con tutte le possibili conseguenze del caso?

La prospettiva di una tale potenza egemone vicina suscita i brividi nella schiena di tutti nella regione, ad eccezione dei pochi amici dell’Iran, come la Siria di Bashar al-Assad, e quelli già troppo “finlandizzati” dalla crescente assertività dell’Iran contenuta nei suoi discorsi. E, a proposito della proliferazione, Waltz respinge in maniera poco convincente la possibilità che l’Iran passi la sua tecnologia nucleare ai gruppi terroristici, e ignora completamente la prospettiva che Teheran condivida i bocconcini nucleari con altri stati rampanti, come il Venezuela di Hugo Chavez.

In terzo luogo, l’arsenale nucleare di Israele, che si ritiene sia stato sviluppato oltre 50 anni fa, non ha creato lo squilibrio strategico che Waltz sente il bisogno di ricalibrare. In effetti, quel riportato arsenale non ha impedito a Egitto e Siria di provocare la guerra nel 1967, né di lanciare un attacco a sorpresa contro Israele nel 1973. Né ha ottenuto di fermare l’Olp nella sua campagna terroristica. Né ha dissuaso Hamas e la Jihad islamica dal lanciare migliaia di missili e razzi contro Israele. Né ha fatto da deterrente per impedire a Hezbollah di scatenare una guerra contro Israele dai suoi fortini in Libano.

Inoltre, a differenza dell’Iran, Israele non ha mai minacciato un’altra nazione di sterminio. Così, mettere Israele e Iran sulla stessa barca, come fa Waltz, è del tutto irresponsabile. E infine, Waltz fa appello per la continuazione della via diplomatica con l’Iran e per porre fine alle sanzioni. Davvero?

Eliminiamo le sanzioni, suggerisce Waltz, e avremo proprio il risultato che auspichiamo: un Iran dotato di armamento nucleare, fiero, convinto, non senza una buona ragione, di aver manipolato con maestria un mondo ingenuo. A quel punto, a quale utile scopo potrebbe servire la diplomazia? Man mano che il gruppo dei 5+1 affronterà la prospettiva crescente di colloqui fallimentari con l’Iran, ci saranno senza dubbio nuovi appelli di persone del calibro di Waltz per drammatici accordi con Teheran. Niente potrebbe essere più pericoloso per la stabilità regionale e globale. E niente potrebbe meglio provare la nostra incapacità di imparare le lezioni della storia che, prendendo a prestito il titolo del libro di Barbara Tuchman, appare come una marcia di folli.

*direttore esecutivo dell’American Jewish Committee (www.ajc.org)

traduzione di Carmine Monaco 

Aggiornato il 01 aprile 2017 alle ore 15:17