Perché Monaco '72 imbarazza il Cio?

Riusciranno le 90mila persone che chiedono di non dimenticare gli 11 atleti israeliani trucidati dai terroristi palestinesi del “Settembre nero” (finanziati all’epoca da Abu Mazen) quel maledetto 5 settembre 1972 alle Olimpiadi di Monaco a smuovere la real politik del Comitato olimpico internazionale e a far dedicare un minuto di silenzio durante la cerimonia solenne di apertura dei giochi solo per non creare un incidente diplomatico con i paesi arabi?

Messa così la domanda appare insieme retorica, il no è scontato, ma anche mal posta. Perché mai i paesi arabi dovrebbero prendersela se qualcuno commemora undici vittime del terrorismo internazionale? Significherebbe forse che oggi come allora quei paesi si sentono più vicini ai carnefici che alle vittime? E se domani si chiedesse una commemorazione dei 3mila e passa morti dell’11 settembre 2011 durante i mondiali di calcio queste stesse delegazioni dei paesi arabi e islamici come si comporterebbero?

Il nostro amico e collaboratore Michael Sfaradi da tempo ha rotto gli indugi scrivendo una lettera aperta al Cio che qui riportiamo integralmente: «Il rifiuto del Comitato Olimpico Internazionale alla richiesta del governo israeliano di ricordare con un minuto di silenzio, all’apertura delle olimpiadi di Londra 2012 e a quaranta anni di distanza dai fatti, gli atleti israeliani che rimasero vittime del vile attentato alle Olimpiadi di Monaco 1972, oltre ad essere oltraggioso per la memoria delle vittime infanga ancora una volta tutti quegli ideali in cui certamente credete e che già allora furono violentati dalla furia omicida.

Noi dell’organizzazione spontanea per il ricordo di: Moshe Weinberg, Yossef Romano,Yossef Gutfreund, David Berger, Mark Slavin, Yaakov Springer, Zeev Friedman, Amitzur Shapira, Eliezer Halfin, Kahat Shor e André Spitzer, chiediamo a voi, atleti della delegazione italiana alle Olimpiadi di Monaco 1972, che nel villaggio olimpico abitavate non lontano dalla palazzina in cui si svolsero i tragici fatti, di far sentire il vostro pensiero sia al Coni che al Cio in modo che non venga perpetrato uno sfregio alla memoria di morti innocenti. Siamo sicuri che in questi quaranta anni avete portato nel vostro cuore e nei vostri ricordi quei colleghi, amici e forse anche avversari che persero la vita proprio dove amicizia e convivenza avrebbero dovuto regnare. Con la speranza che seguiate, singolarmente o in gruppo, il gesto di Pietro Mennea che già nei giorni scorsi ha fatto sentire la sua voce con una toccante lettera aperta Vi ringraziamo sentitamente».

La lettera è stata inviata a tutti gli atleti, allenatori e giudici della delegazione italiana alle XX olimpiadi  Monaco 1972. In particolare: «alle medaglie d’oro Klaus Dibiasi, Antonella Ragno, Michele Maffei, Mario Aldo Montano, Mario Tullio Montano, Rolando Rigoli, Cesare Salvatori, Graziano Mancinelli, Angelo Scalzone; alle medaglie d’argento: Novella Calligaris, Franco Cagnotto, Alessandro Argenton e alle medaglie di bronzo: Paola Pigni, Giuseppe Bognanni, Gian Matteo Renzi, Anselmo Silvino, Silvano Basagni, Pietro D’Inzeo, Raimondo D’Inzeo, Vittorio Orlandi». 

In precedenza a rompere il muro del silenzio era stata Osher Romano Kandel, la figlia del lottatore israeliano Yosef Romano, il primo a essere stato ucciso dal commando durante l’irruzione di quella notte maledetta tra il 4 e il 5 settembre 1972 al villaggio olimpico di Monaco. Semplice l’invocazione: «Riuscite a capire che cosa significa crescere e vivere 40 anni e a ogni olimpiade chiedere solamente un minuto di onore? Per 10 olimpiadi abbiamo elemosinato, mendicato, nelle nostre richieste, solamente un minuto di raccoglimento, 40 anni in piedi per le uniche vittime del movimento olimpico». La lettera nei quotidiani israeliani è stata pubblicata con il titolo «In nome del padre». Oshrat, quarantasei anni, è sposata  con figli, scrive fra l’altro, che nel 1972 aveva sei anni e mezzo ed «ero una bambina che era stata appena ammessa alla prima elementare» solo alcuni giorni prima che il padre Yossef fosse ucciso brutalmente all’olimpiade di Monaco in Germania. Non riuscì a guidarla nella crescita e nelle scelta e il solo crescere in queste condizioni è un qualcosa che ha segnato e sempre segnerà la sua vita.

«Crescendo ho preso coscienza che mio padre non avrebbe mai conosciuto i miei figli, i suoi nipoti. Abbiamo dovuto, nel corso degli anni, confrontarci con domande alle quali è difficile, se non impossibile, dare una risposta. La mia infanzia, nel corso degli anni è stata caratterizzata da continui ricordi e cerimonie e parteciperò mio malgrado e con rinnovato dolore un’altra di queste cerimonie non appena avrò finito di scrivere questa lettera».

«Sono quaranta anni – prosegue la lettera pubblicata da molti quotidiani israeliani -  che Ankie Spitzer, la moglie di Andrè Spitzer anche lui ucciso nell’attentato, e mia madre Ilana Romano continuano a chiedere al comitato olimpico internazionale solo un minuto di raccoglimento in ricordo degli atleti durante i giochi olimpici. Solo un minuto…».

Per la cronaca, Yosef Romano aveva solo una passione oltre alla lotta greco romana, le sue due bambine che non vide crescere. La sua biografia ci dice che era nato a Bengasi, primo di undici figli, e che la sua famiglia fu costretta a lasciare di corsa la Libia dopo la creazione dello stato di Israele in cui si trasferì. In seguito studiò come arredatore d’interni e servì inoltre l’esercito israeliano durante la Guerra dei Sei Giorni. Iscritto al Hapoel di Tel Aviv, vinse dieci titoli nazionali nella categoria dei pesi medi. Prese parte quindi alla rappresentativa israeliana ai Giochi Olimpici di Monaco di Baviera 1972, durante i quali però rimediò un infortunio muscolare che lo obbligò ad interrompere la competizione e ad anticipare il rientro in patria in attesa di  sottoporsi a un’operazione. Volle però restare a fare compagnia ai suoi compagni di delegazione olimpica israeliana a Monaco per assistere alle altre competizioni. 

La mattina del 5 settembre 1972 un gruppo di terroristi palestinesi dell’organizzazione terroristica “Settembre Nero” fece irruzione nelle palazzine del villaggio olimpico dove era alloggiata la rappresentativa israeliana, prendendo in ostaggio diversi atleti tra cui lo stesso Romano. Nonostante camminasse mediante l’ausilio di stampelle a causa dell’infortunio, tentò di resistere ai terroristi venendo ucciso: il suo corpo fu mostrato agli altri ostaggi, come monito a non tentare di resistere. Insomma un vero eroe laico dello sport mondiale oltre che un simbolo per tutti gli atleti israeliani. Non concedere a lui e agli altri dieci trucidati dai terroristi filo arafattiani di “Settembre nero” (in seguito si sarebbe scoperto che i soldi per finanziare l’operazione terroristica erano stati raccolti da Abu Mazen, attuale presidente della Anp, ndr) neanche un minuto di silenzio è per il Cio qualcosa che si avvicina molto a un crimine morale contro l’umanità.

Aggiornato il 01 aprile 2017 alle ore 15:14