Perché Obama rischia di perdere le elezioni

«The most quoted college professor of the land» (il professore universitario più citato d’America): così qualche anno fa il Wall Street Journal ha definito Larry Sabato. Stimato consulente di numerosi presidenti, è diventato negli anni, anche grazie alla sua incredibile capacità di prevedere l’outcome delle varie elezioni, il politologo più famoso d’America (solo nel 2008, per fare un esempio, ha predetto correttamente il 99% delle sfide dell’election-day di novembre). È fondatore del famoso sito di politica Crystall Ball dove, settimanalmente, aggiorna le sue previsioni su Senato, Camera e Presidenza con uno spunto sempre efficace ed innovativo. 

Professor Sabato, cominciamo con una domanda scontata: chi vincerà le elezioni Presidenziali? Ritiene condivisibile l’opinione di molti suoi colleghi che vedono il presidente Obama come scontato vincitore per la rielezione?
No, non sono d’accordo. A mio modo di vedere questa sarà una elezione molto competitiva e combattuta fino alla fine. Non siamo di fronte ad un risultato scontato e prevedibile, non siamo più nel 2008. Siamo già a giugno e le condizioni dell’economia rimangono pericolosamente precarie e non sembrano in condizioni di poter migliorare significativamente entro novembre, unica cosa che garantirebbe una facile vittoria a Obama. La campagna elettorale non sarà una formalità quest’anno, conterà veramente. Obama non è affatto “shoo-in”, parte come leggero favorito, ma nulla di più. 

Quali ritiene possano essere invece gli stati più competitivi, quelli che letteralmente porteranno il candidato vincitore over the top?
Sono sette. Saranno questi pochi stati a decidere l’elezione Presidenziali. Io e il mio team all’Università della Virginia riteniamo saranno Colorado, Nevada, Ohio, Iowa, Florida, Virginia e New Hampshire. 

Sono molte le persone, specialmente da noi in Europa, che pur essendo molto interessate all’elezione presidenziale, non sono consapevoli dell’importanza che ricopre il Senato nel sistema politico americano. Dopo aver fallito il loro comeback nel 2010, anche a causa di alcune opinabili scelte durante le primarie, ritiene che il partito repubblicano sia ben posizionato per conquistare una maggioranza alla Camera Alta nel 2012?
Al fischio finale, il Senato potrebbe avere una maggioranza che varia dai 51 Democratici ai 53 Repubblicani, è una partita molto indecisa. È anche possibile, ma allo stato attuale non probabile, che finisca in perfetta parità: 50 a 50. In questo caso sarebbe il nuovo vice presidente il “voto decisivo”.  Personalmente ritengo che i Democratici siano particolarmente vulnerabili in Missouri, Montana e Nebraska mentre i Repubblicani dovranno lottare duramente per mantenere i seggi in Massachusetts e Nevada. Una cosa però è sicura: se Romney vince la presidenza, il Senato sarà repubblicano. 

Parlando della Camera, invece, il leader della minoranza Nancy Pelosi ritiene che i Democratici abbiano un 50% di possibilità di riconquistare la maggioranza. È d’accordo con questa previsione, o ritiene che sarà ancora John Boehner, leader Repubblicano, lo Speaker del prossimo Congresso?
Il nostro esperto per le elezioni della Camera qui al Center of Politics, Kyle Kondik, ritiene che i democratici abbiamo meno del 20% di possibilità di riconquistare la maggioranza.  Riteniamo che riusciranno a migliorare la loro posizione, vincendo qualche seggio ora repubblicano, ma è altamente improbabile che riescano a “strappare” i 25 necessari per il controllo della Camera. La Camera quindi, a differenza del Senato, rimarrà repubblicana, a prescindere di una vittoria di Obama o Romney nell’elezione presidenziale. E John Boehner rimarrà Speaker anche durante il prossimo Congresso. 

Un numero sempre maggiore di analisti ritiene possibile che in alcune aree del Paese si stiano verificando dei veri propri “cambiamenti epocali”: il numero sempre maggiore di ispanici, di provata fede democratica, che popolano stati del Sud, tradizionalmente repubblicani, come l’Arizona o il Texas e una tendenza verso il partito repubblicano degli stati operai della “rust belt” come Wisconsin e Michigan i quali, si dice, potrebbero anche votare per Mitt Romney, che è nativo proprio del Michigan. Ritiene possibile che uno o più di questi stati possano “cambiare colore” nel 2012 o comunque, per rimanere nel breve termine, nel 2016?
No, credo che né Arizona, né Wisconsin o Michigan “cambieranno fazione” quest’anno. Parlando di lungo e non breve termine, invece, ritengo che stati come Arizona e Texas diventeranno sempre più democratici ma questo è certamente un processo che durerà moltissimi anni. Per quanto riguarda il Midwest invece, è certamente vero che i cosiddetti “non-college whites” (gli elettori bianchi e non laureati) stiano diventando sempre più repubblicani, ma tutto sommato il bilancio è ancora tendenzialmente favorevole ai democratici. Ogni cambiamento necessita di tempo e anni come il 2008, dove alcuni Stati hanno deviato dal loro abituale percorso, come  Indiana o North Carolina, sono veramente rari. 

Poche settimane fa lei ha fatto una interessante analisi, pubblicata su Crystal Ball, su chi potrebbe essere considerato da Mitt Romney e dal suo team come un “papabile” alla vicepresidenza. È d’accordo con quanto affermato da alcuni suoi colleghi secondo i quali Romney opterà per una “scelta sicura” come Portman, Rubio o McDonnell o pensa invece che opterà per un “surprise pick”. Per dirla con una metafora sportiva, “will he hit out of the park?”. 
Onestamente, non posso prevedere con certezza cosa deciderà Romney. La scelta finale sarà solamente sua. Qualsiasi candidati, per quanto mainstream possa essere, è sempre imprevedibile quando si tratta di scegliere il suo running mate. Posso tuttavia dare una mia opinione, un mio consiglio: con Obama e Romney praticamente già appaiati nei sondaggi riteniamo sarebbe saggio scegliere un candidato very unlike (“molto diverso da”) Sarah Palin. Ha bisogno di una scelta sicura, affidabile, normale (una “vanilla choice”). Insomma, una persona che non causi problemi e che sia vista dall’opinione pubblica come preparata e competente. Il Senatore Rob Portman dell’Ohio risponde certamente a questo profilo, ma come lui molti altri. 

La Corte Suprema deciderà a breve sulla costituzionalità dell’Affordable Care Act, conosciuto dai suoi detrattori come Obamacare (la riforma sanitaria, ndr). Ritiene che questa decisione, qualsiasi essa sia, sarà tema dominante della campagna elettorale e potenzialmente in grado di spostare dei voti?
Questa elezione riguarda l’economia, senza alcun ombra di dubbio. Certo, la decisione della Corte Suprema sulla riforma sanitaria verrà certamente enfatizzata dai media, ma non sarà in grado di spostare molti voti, qualunque essa sia. L’effetto sarà invece quello di rinforzare le convinzioni di chi già si è formato un opinione sull’argomento: i democratici a favore della legge, i repubblicani contro. Agli “swing voter” importa dell’economia, dei posti di lavoro e non di una battaglia ideologica come quella su Obamacare. Certo, i media non saranno d’accordo con me. Ma sappiamo bene come funziona, hanno bisogno di un nuovo titolo ogni poche ore no? 

Per chiudere, una domanda che riguarda i sondaggi nel puro senso del termine. Quale ritiene sia il metodo migliore per realizzare un buon sondaggio? Molti credono che alcune fra le maggiori case di sondaggi  americane siano “troppo schierate”. Quale crede che sia la più affidabile?
Nessuna casa di sondaggi, nessun sondaggio è affidabile di per sé. Avranno sempre qualche difetto, idiosincrasia o, come dici te, qualche “preferenza” per un partito piuttosto che per un altro. Sono le medie che contano realmente e che possono dare una idea chiara delle tendenze. Per rimanere negli Stati Uniti, piuttosto che affidarvi a qualcuno in particolare visitate un sito come RealClearPolitics, che calcola la media di tutti i sondaggi disponibili per le varie elezioni.  È così che facciamo anche al Center of Politics.

Aggiornato il 01 aprile 2017 alle ore 15:13