La Donna che fece ballare il mondo

Tutto ebbe inizio in America con il Rhythm & Blues, nella prima metà di quel grande decennio di rivoluzione che erano gli anni Settanta, quando la musica, oltre ad esser diffusa per il semplice ascolto e sollazzo dell'anima, per trasmettere messaggi politici o comunicare sensazioni, cominciò ad assolvere ad un'altra innovativa funzione: animare la pista da ballo illuminata da una shining disco-ball. Ma quali sono stati i precursori di un grande regno della musica che avrebbe fatto un'epoca, la stessa in cui stava per divampare la febbre del sabato sera? Certa musica era fatta per esser ballata, per stimolare i corpi al movimento, in una libera espressione senza regole che andava ben oltre la beat generation. Nuovi locali, come uno storico Studio 54 di Manhattan, iniziarono ad interpretare la moderna concezione di discoteca, facendosi portatori di una vera e propria rivoluzione. Mentre alcuni, dalla Costa West, trasformavano il Rhythm & Blues in Jazz, altri grandi musicisti, tra cui Otis Redding e Aretha Franklin, portavano la vecchia musica ad evolversi verso qualcosa di nuovo, inizialmente sconosciuto e definito da qualcuno come un genere derivato dal soul, la sophistisoul. Ma questo era solo l'inizio. 

Il colpo di grazia fu quello di Mr. Barry White, il grande uomo dal nome più comune di sempre, che si conquistò con il senno di poi l'appellativo di primo vero Disco King, precursore e delineatore di un nuovo genere che avrebbe segnato una generazione intera. Con pezzi di storia della musica, come Never, Never Gonna Give You Up (1973), Can't Get Enough of Your Love, Babe (1974) e Let the Music Play (1976), spianava la strada ad un genere che avrebbe avuto un interminabile successo, evolvendosi e ramificandosi negli anni in musica dance, pop dance, house, techno e quant'altro, facendo da padre al panorama musicale che ancora oggi riempie locali, teatri, festival e stadi di gente che balla e si muove libera e a ritmo di musica.

Insomma, gli anni Settanta furono l'avamposto di tutto quello si muove oggi sulle piste da ballo. Nessuno dimenticherà mai l'indiscussa Queen of Disco vinta dal cancro la settimana scorsa, in Florida, all'età di 63 anni. Come dimenticare LaDonna Andre Gaines, in arte Donna Summer, che fece ballare un intero pianeta, percorrendo la stessa strada da poco aperta dal grande White? Con l'esordio a soli 20 anni, nel 1968, in Germania, cantava nella versione tedesca di Hair, celebre musical icona della generazione hipster. Qui conobbe quello che sarebbe stato il primo marito e ispiratore del nome che le avrebbe garantito una carriera, l'attore austriaco Helmut Sommer. Dall'inglesizzazione del proprio cognome da coniugata, LaDonna Summer inizia a cantare firmandosi Donna Summer: formula vincente. Difficile immaginare la stessa epoca con un nome diverso da uno così ben assortito ed efficace. Chi non ricorda le note sensuali del suo primo grande successo internazionale, il singolo Love to Love You Babe, 1975, durata totale di ben 17 minuti? Una traccia dai toni morbidi e lenti, ma allo stesso tempo ritmati e decisi, perfetti per far muovere e socializzare ragazzi di tutto il mondo su luminosissime piste da ballo di discoteche già al tempo ultra-moderne. Insomma, una long version che fece ballare ed innamorare milioni di persone. Ma l'apice della pista da ballo, dopo I Feel Love del 1977, è firmato dalle celebri note e parole di Hot Stuff, primo singolo estratto da Bad Girls (1979). Ranking 103 nella classifica Rolling Stones delle 500 migliori canzoni di tutti i tempi, con «Lookin' for some hot stuff baby this evenin' / I need some hot stuff baby tonight» la Summer diventa la prima donna afroamericana a conquistarsi un Grammy Award come "Migliore Performance Vocale Femminile". Parole forti della Signora Summer, che certo rappresentavano lo spirito di molti esponenti di una generazione affetta dalla febbre del weekend, della Saturday Night Fever. 

Eppure non è la Summer a comparire nel film di Tony Manero, esponente per antonomasia del ballerino malato di febbre del sabato sera, pantalone scampanato a zampa d'elefante bianco e camicia nera colletto gigante, capello all'indietro e movenze a dir poco eccentriche e coreografiche: era questa la ricetta vincente del re indiscusso del dance floor anni Settanta. Nel film, un giovanissimo John Travolta - che nel 1977 aveva solo 23 anni - si scatena sulle note dei Bee Gees, idolo degli amici e di ogni donna del locale. I fratelli Gibbs cantavano «I'm a woman's man: no time to talk / Music loud and women warm». E ancora «Feel the city breaking and everybody shaking / and we're staying alive, staying alive. / Ah, ha, ha, ha, staying alive, staying alive» concludendo l'ultimo verso con un falsetto corale, impronta del loro sound inconfondibile. I Bee Gees - acronimo esteso che sta per Brothers Gibb - erano 4 fratelli inglesi, con carriera iniziata in Australia (dove si erano trasferiti da piccoli per beghe legali) e proseguita in UK, diffondendosi da lì a tutto il mondo. Canalizzate dal film, o forse dalla loro impronta unica, le voci di Barry, dei gemelli Robin e Maurice e del fratello minore Andy sono state, insieme a quella della Summer, baluardi di un'epoca. Soltanto tra i brani più famosi, Stayin' Alive, How Deep Is Your Love, Night Fever e More Than a Woman sono tra quei pezzi immortali che orecchio umano non può non aver mai ascoltato, o incontrato, anche per semplice errore. Purtroppo, anche queste voci sono ormai spezzate. Pochi giorni fa, a poche ore della collega e Regina della Disco, la scomparsa del terzo fratello Gibb, Robin, a 62 anni. Dopo la fine di Andy, fratello minore, e del gemello Maurice, l'unico Bee Gee è ora il fratello maggiore, Barry, che continua a cantare da solista. «I Bee Gees erano delle icone. Non solo una grande band, ma un grandissimo gruppo di autori di canzoni. Anche ben dopo il loro successo nelle classifiche, scrivevano ancora pezzi per altri, successi mondiali. Il loro talento ha superato il momento in cui andavano di moda. Oggi l'industria musicale subisce una grande perdita, la perdita di un'icona», scrive il cantante Gavin DeGraw. Ma una cosa è certa: non si possono spegnere voci che rimangono registrate nella testa, nella storia, nei film - dvd o vhs - e nei vinili, o ancora nei 45 giri ascoltati a tutto volume dai ragazzi degli anni Settanta chiusi in una stanza con la loro vita adolescenziale. Con i loro fine-settimana folli e la loro voglia di ballare. Il loro dress code innovativo e le luci di un ambiente rivoluzionario. Sembra un po' un quadro dell'odierna generazione, ragazzi che aspettano la festa del sabato sera e l'ennesimo deejay per sfogarsi e forse anche un po' ribellarsi. Dress code diverso, ma stessa solfa. È per questo che dobbiamo esser grati a queste grandi voci. Senza Donna Summer e senza i Bee Gees a farsi pionieri di questa rivoluzione, probabilmente oggi il sabato sera sarebbe stato soltanto una triste serata come tante. Con la loro scomparsa, sono forse scomparse le ultime vere tracce degli anni '70? Niente affatto. La loro eredità suona ancora, tutte le settimane. Bisogna solo ricordarsene, ogni tanto. E allora... Let the music play!

Aggiornato il 01 aprile 2017 alle ore 15:17