Dopo Alice in Wonderland, ma già qualcuno dai tempi della Fabbrica di cioccolato, il nome di Tim Burton non se la passa benissimo. Il grande inventore di fiabe oscure, tenerezze funeree che hanno commosso il mondo - e non solo la sua controparte dark - è visto con un po' di sospetto. Un po' perché l'emozione di capolavori come Big Fish o Edward mani di forbice è irripetibile, un po' perché il regista di Burbank ha cercato - escludendo l'animato La sposa cadavere - di cambiare strada. Cercando favole più adulte, se non nel racconto di sicuro nei temi e nel modo di affrontarli. Forse più freddo. Certo, la plastica disneyana di Alice è difficilmente difendibile. Ma già Dark Shadows dimostra un passo avanti non indifferente.
Il vero problema però nella ricezione critica, e di parte del pubblico, è la sua derivazione: l'omonimo prodotto televisivo creato da Dan Curtis nel '66. E che non è una semplice serie televisiva, come indicano i titoli di testa, ma una soap-opera, andata in onda ogni giorno per 1245 episodi. Divenne un culto anche fuori dal circolo degli appassionati di Sentieri o General Hospital, perché per la prima volta nella storia del genere - e non solo - il melodramma consolatorio di questo tipo di prodotti veniva sporcato con vampiri, streghe, lupi mannari e quant'altro si affiliasse all'horror. Il problema però non è nella diffidenza elitaria verso uno degli zii di Beautiful (e che sarebbe sensata), quanto nell'evidenza che girando Dark Shadows, Burton non ha eluso quel modello, anzi.
Quest'ultimo film, nelle sale dal 11 maggio, sta alla filmografia del nostro, come A prova di morte (prima parte del dittico Grindhouse) sta a quella di Tarantino. Perché l'autore di Nightmare before Christmas ha scelto non solo una traccia narrativa, condensando tutto quel materiale in 2 ore, ma un modello filmico ben preciso; e come Tarantino con l'exploitation, l'ha seguito fino in fondo, fino alle estreme conseguenze, replicandone anche gli aspetti meno apprezzabili, meno comprensibili al pubblico contemporaneo. Lì erano i dialoghi infiniti, la mancanza di snodi narrativi decenti, la totale casualità della struttura, qui sono le lunghe riprese in interni senza che succeda nulla, i personaggi di contorno lasciati un po' allo stato brado, il ritmo spento che si accende di improvvise fiamme (parola scelta non a caso) quando c'è un colpo di scena sensazionale. La noia, le svolte improvvise buttate a caso, le scene piatte: sono i principali difetti riscontrati dai recensori. Ma non sono i difetti strutturali e formali della soap-opera in quanto tale? Burton fa un viaggio senza ritorno in un modo di concepire la narrazione che non gli appartiene e che può non piacere. Dark Shadows oltre allo spirito comico di gran parte dei personaggi, è un gioco intellettuale e teorico, come quello di Tarantino, che può lasciare freddi (come si diceva prima) ma che è coerente.
E poi bisogna cominciare a riconoscere, nel bene e nel male, quanto il modello della telenovela o della sua versione americana sia stato influente nel racconto audio-visivo degli ultimi 30 anni. Basti pensare che la tv privata e commerciale così come la conosciamo oggi si formò, agli inizi degli anni '80, attorno all'impressionante successo di Dallas, serie tv strappata a Rai 2 che della soap-opera adottava tutti gli schemi narrativi, con tanto di ultima inquadratura sul primo piano sospeso di un episodio, diluendola in settimane e non in giorni. E durò per 14 anni, creando emuli come Dynasty. In anni più recenti, sempre di più sono le serie a target femminile che guardano alla soap-opera, col suo misto di chiacchiere, drammi sentimentali e improbabili rivoluzioni narrative (morti non morti, figli non figli, genitori non genitori): la migliore e la più intelligente di tutte è Desperate Housewives, che proprio in questi giorni dà l'addio agli schermi dopo 8 anni di onorato servizio. Parte con un suicidio misterioso, inanella agnizioni e svolte narrative che nemmeno Dumas, confonde amore e, sesso, vita e morta con un'ironia suprema che è la stessa di Burton. Meno belle, forse perché pensate addosso alla frivolezza del pubblico post-adolescenziale, sono le repliche in chiave teen o quasi, come Gossip Girl.
Rimanendo poi all'orrore, senza Dark Shadows non esisterebbero Twilight, le pene d'amore immortali tra una ragazza normale e un vampiro puritano e luccicante, né True Blood, praticamente l'opposto della saga di Stephenie Meyer, per humour camp, violenza, sesso sfrenato e sfacciataggine. Come se le due anime conviventi nella creatura di Curtis (che nella sua vita ha scritto e prodotto tv per 40 anni) si fossero separate per dare vita a due prodotti che non sembrano parenti nemmeno alla lontana, se non nella presenza di mitologie orrifiche da tempo conclamate. Meglio però True Blood, la serie di Alan Ball prodotta da HBO, e non perché più simile nello spirito al vecchio Dark Shadows, ma perché più onesto, divertente, consapevole del suo essere parodia di se stesso, senza prestare il fianco a burlette sterili, come fanno i film e i libri sulla famiglia Cullen.
Tutto questo discorso raggiunge un livello di finezza quasi perverso se pensiamo alla fiction e al cinema medio italiano: il modello della soap-opera è raro nel suo specifico, resistendo solo Un posto al sole e Centovetrine (quest'ultimo in debito di ascoltatori), ma si è trasferito da anni e senza alcun sussulto alla tv di serie A. Quella che dappertutto è una serie tv, un drama, qui è una fiction. Parola che si porta dietro una scia di lentezza, facilità, mediocrità, cattivi attori e discutibili scelte estetiche (guardatevi quell'abc della fiction che è Boris per capire): ossia gli elementi negativi di una soap-opera. Ma che nella non-industria italiana dell'audio-visivo sembra essere l'unico modello praticabile per arrivare al pubblico, tanto in tv (se in America male che vada hanno Ncis, in italiano bene che ci va c'è R.I.S), quanto al cinema. Provate a vedere una qualunque pellicola distribuita in più di 100 copie prodotta in Italia: e poi cercate qualche significativa differenza estetica con Incantesimo. Se non ci riuscite, ci si può consolare con la simpatia senza pretese e qualche ottima idea di Dark Shadows.
Aggiornato il 01 aprile 2017 alle ore 15:21