L'infedeltà coniugale in Francia

I malati di sesso e di "peterpanismo" priapico adolescenziale sono i grandi imputati dell'ultimo, esilarante, film del duo Dujardin - Lellouche. I registi di questo "Gli infedeli"- da venerdì scorso distribuito nei cinema italiani - dove ovviamente il protagonista è lo stesso regista attore, Jean Dujardin, che compare in quasi tutti gli episodi, alcuni lunghi, altri a sketch folgoranti, di cui si compone la pellicola. Il più divertente dei quali è quello che riguarda la trasgressione sadomaso e bondage che non vi raccontiamo per non togliervi il gusto della risata sganasciata. Il film è anche una radiografia della vitellonaggine alla francese di "aujourd'hui". Ad esempio, l'episodio più volutamente squallido è ambientato nella gita aziendale dei venditori, quando c'è la notte di libera uscita in cui tutti tentano di rimorchiare qualche collega carina snobbando quelle più brutte («quella è una bambola con il corpo di bombola» traduzione italiana, ndr).

E poi uno di loro nel cuore della notte, frustrato nei tentativi al bersaglio grosso, alla fine ripiega sulla bruttina insultata poco prima di cena e ne riceve invece un avvilente rifiuto. E il giorno dopo lei racconta il tutto agli altri mettendolo alla gogna. Se vogliamo porre una tara al film va detto che il tutto puzza un po' di moralismo d'Oltralpe e siccome la pellicola esce in periodo elettorale qualche sospettino di odio verso la Francia che è stata di Sarkozy in questo breve periodo degli ultimi cinque anni può anche sorgere. E d'altronde le commedie di Dujardin e di Lellouche tutte lì vanno a parare, l'odio contro il neo rampantismo dei nuovi ricchi. Nelle note di regia Jean Dujardin e Gilles Lellouche, che sono attori e registi del primo episodio (e in quasi tutti gli altri), quello della fuga trasgressiva a Las Vegas, così raccontano come è nato lo spunto: «Il progetto è frutto di una serie di desideri e di idee che coltivavavamo da molto tempo.

Innanzitutto c'era la voglia di fare un film a episodi, un formato cinematografico che consente una grande varietà. L'idea del tema è venuta dopo aver sentito la storia di un tizio che, per tradire sua moglie, andava al cinema, comprava un biglietto e staccava il telefono prima di andare a spassarsela. Quando tornava a casa, alla moglie che gli chiedeva perché non fosse raggiungibile sul cellulare, esibiva il biglietto del cinema come prova... Ho trovato questo espediente molto interessante. Il tema dell'infedeltà offriva un terreno di gioco appassionante». «L'ultimo elemento riguarda il titolo - spiega Dujardin - che si è imposto quando, scorgendo di sfuggita la copertina del dvd del film di Martin Scorsese "The departed", il cui titolo francese è "Les infiltres", ho letto per errore "Les infidels" e a quel punto ho avuto la forma, il tema e il titolo».

Rispetto alla scelta, difficile, a volte ardua e sempre foriera di flop, di fare un'opera a episodi, per giunta vagamente intrecciati tra loro, almeno in senso concettuale, ecco spiegato dalle parole dei due registi e attori il perché di questo azzardo: «il grande vantaggio di un film a episodi consiste nell'offrire un'autentica varietà di spunti. Abbiamo potuto affrontare l'argomento da diversi punti di vista, dal più giovane al più maturo e profondo, con personaggi più o meno caricaturali, vicini a noi e distanti da noi. Abbiamo cercato di scandagliare il tema, proponendo delle angolature che esprimano anche le differenze di età e di ceto sociale e che illustrino diverse situazioni, da quelle da incubo a quelle delle fantasie… Abbiamo iniziato a lavorarci facendo una serie di riunioni piuttosto informali e ridanciane con i nostro co-autori, Stéphane Joly, Philippe Caverivière e Nicolas Bedos. Abbiamo ideato una serie di piccoli film potenziali, almeno una trentina all'inizio, e in seguito abbiamo fatto una selezione.

L'unico denominatore comune era la libertà di tono e umorismo, che tuttavia non impediva di toccare note patetiche o cupe». E quindi? «Abbiamo accumulato idee, scritto e lavorato con alcuni autori e poi abbiamo scelto i soggetti, sia in base alla forza della tipologia, sia in base alle emozioni che risvegliavano in noi. Il divertimento e il desiderio di interpretarli che ci suscitavano sono stati due criteri determinanti nella nostra scelta. Numerosi soggetti si sono imposti con naturalezza e sono quelli che si sono rivelati più interessanti con il passare del tempo. Malgrado il film sia composto di varie storie che mettono in scena personaggi diversi, permane una sensazione di continuità…Inoltre ogni film risponde a un altro. Senza voler rivelare i dettagli di ogni storia, si può dire che ogni segmento termina in qualche modo dove inizia il segmento successivo». Se il risultato di questa sfida era quello di "fare ridere e pensare", i due nuovi prodigi della cinematografia francese lo hanno centrato in pieno.

Rimane l'amaro in bocca, nel solito doppiaggio all'italiana, per qualche gioco di parole che si intuisce diverso e si rimpiange di non conoscere come fosse veramente nella versione francese. Ma l'Italia si sa, non è un paese per film in originale. Nell'appiattimento globale da linguaggio televisivo e per slogan stupidi viene travolta anche l'inventività del cinema francese così come sinora non è stata risparmiata la genialità di quello americano, spagnolo, cinese, turco, arabo, israeliano e quant'altri. Il linguaggio corrotto dal servilismo dei media e dalla politica partitocratica è come un cancro che si è diffuso a tutto lo scibile umano, in Italia, contaminando anche i prodotti importati, come le pellicole cinematografiche, d'autore e non.

A ciascuna di esse ci è piaciuto mettere una croce da far portare all'utilizzatore finale, cioè allo spettatore in sala: quella di un adattamento fatto con traduzioni traballanti, cretine e piegate alla nostra attualità esistenziale di cui al resto del mondo frega un po' meno di niente. Siamo italioto centrici e televisivi anche al cinema e i risultati purtroppo sono quelli che sono. Speriamo di venire perdonati dai tanti autori storpiati dal nostro doppiaggio attuale (quello degli anni '40 era un'altra cosa, ndr) che ormai seppelliscono tanti capolavori in un'ideale "spoon river" dei film stranieri rovinati dai distributori nazionali del Bel Paese.

Aggiornato il 01 aprile 2017 alle ore 15:31