Il terrore è sempre in agguato

Ci sono molti sintomi oggi che ci fanno ricordare la fine degli anni '60, mezzo secolo fa, quando esplose nelle piazze, nelle università e nelle scuole la contestazione giovanile. Anche le masse operaie si mobilitarono occupando le fabbriche e le città con scioperi ad oltranza ed imponenti manifestazioni. Dalla protesta, sempre più violenta, scaturì il terrorismo che insanguinò l'Italia per oltre un decennio.

Sembra un tempo lontano, da troppi dimenticato e da molti mai vissuto. Fu un periodo storico durante il quale l'economia capitalista produsse immensi profitti, diffuse benessere in tutto l'Occidente, anche in Italia, ma distribuì ovunque ingiustizie e guerre per la conquista delle ricchezze planetarie. Il mondo era pervaso da profondi malesseri e martoriato dalle tensioni internazionali provocate dalle tragiche conseguenze della seconda guerra mondiale. I continenti venivano sconvolti da rivoluzioni cruente, da guerre locali, da violente lotte per il controllo delle aree petrolifere e dei territori ricchi di materie prime. Interi popoli, nei paesi in via di sviluppo, subivano le tragedie della povertà e delle carestie morendo di fame, di epidemie e di massacri tribali. Le ideologie del novecento infiammavano gli animi e le speranze.

La "contestazione giovanile" fu una ventata che portò con sé profumi e colori di primavera assieme a violenze, scontri di piazza, stragi, tradimenti e torbide strategie prodotte dalla "guerra fredda", elegante definizione coniata per nobilitare la devastante resa dei conti combattuta tra Usa e Urss alla la fine di quel tragico conflitto mondiale che, ancora adesso, dopo quasi settant'anni, gronda sangue e odio.

Il capitalismo occidentale e il comunismo sovietico regolavano le controversie lasciate aperte dal trattato di Jalta, patto siglato dai vincitori di Hitler, ovvero Stalin, Roosevelt e Churchill, durante un summit cinico ed ipocrita indetto, poco prima della fine della guerra, per decidere la spartizione del pianeta. Spinte da generose ideologie le generazioni nate dopo la guerra, pilotate e organizzate a loro insaputa dai servizi e dai provocatori d'Oriente e d'Occidente, lottavano, si scontravano e si ammazzavano chi nel nome della libertà e della democrazia, chi, all'ombra di milioni di rosse bandiere, nel nome della giustizia sociale e della dittatura del proletariato: onesti militanti pronti a dare la vita, ignari burattini mossi da registi e da "pupari" al servizio delle oligarchie al potere nei due "blocchi" egemoni.

Con la caduta del "muro di Berlino", il crollo dell'Unione Sovietica e il fallimento della tragica esperienza comunista, le ideologie che hanno devastato ed esaltato il secolo breve si sono dissolte, forse morte, forse in coma, forse solo assopite. Tutti siamo diventati apostati di qualche dottrina politica e gli sparuti nostalgici del fascismo e del comunismo, con i loro vecchi riti, sembrano relitti incomprensibili di mondi inabissati. Eppure abbiamo la sensazione che ci manchi qualcosa di vitale in questa nuova  e confusa società del terzo millennio.

Una strana malinconia, un desiderio di certezze, un bisogno di innocenza ci prende nell'assistere al crollo di una classe politica corrotta ed incapace nata  dalle grigie ceneri degli antichi ideali. Ci sentiamo traditi da una democrazia bugiarda, derubati da falsi demagoghi, minacciati da un moderno moloch, prigionieri di una sofisticata dittatura che con la scusa della lotta all'evasione fiscale, ci toglie anche l'illusione della libertà penetrando negli angoli più intimi e preziosi della nostra vita. Un fantascientifico sistema feudale imposto con l'uso delle più sofisticate tecnologie incombe sempre più minaccioso ed efficiente, governato dai signori delle tasse, nuovi baroni del potere legittimati a espropriare i cittadini di ogni risorsa, dominatori al di sopra della legge, padroni del destino di milioni di servi della gleba,"globalizzati" e inconsapevoli.

La società tradizionale sta cambiando tumultuosamente e dalle sue profondità stanno nascendo, ancora confuse e indecifrabili, le nuove forme che disegneranno il futuro della comunità umana. La crisi dell'intero sistema politico, economico e sociale che ha segnato le regole di vita del secolo scorso sembra voler cancellare i valori etici e politici che guidavano il cammino dell'umanità, provocando, anche per questo, pericolosi squilibri e gravi sconvolgimenti nel sistema organizzativo statale.

Le istituzioni storiche, anche quelle religiose, stanno rapidamente perdendo credibilità e potere. Ma la nostra classe politica sembra non accorgersene e sembra vivere in una dimensione irreale, in un'isola fuori del tempo e della realtà dove tutto  ruota attorno ai privilegi, alle ambizioni, all'immunità e all'apparenza. Noi, invece, sentiamo forti i segnali che preannunciano l'arrivo di una bufera sociale portatrice di rabbia e di violenza inaudita. Una bufera molto più distruttiva delle lotte di piazza degli anni '60.

In pochi mesi decine e decine di operai e di piccoli imprenditori si sono suicidati, alcuni col fuoco, come bonzi buddisti. Come una pandemia imprese e fabbriche in crisi vengono chiuse distruggendo la vita di centinaia di migliaia di famiglie. E la politica tace. La disoccupazione cresce in modo esponenziale. Milioni di anziani, di operai e di giovani disoccupati vivono sotto la soglia di povertà. La pressione fiscale sta superando ogni limite di buonsenso e di equità. Le garanzie democratiche vengono sempre più violate e compresse. E la politica tace. Le categorie professionali e produttive subiscono emarginazioni e penalizzazioni ingiustificate.

I centri sociali e le masse di italiani e di extracomunitari emarginati sono oramai delle vere e proprie legioni allenate per guidare le ribellioni prossime e future e per devastare le nostre città, come è avvenuto nella banlieue di Parigi nel novembre del 2005. Nel sud la criminalità organizzata è in grado di mobilitare grandi masse popolari e di scatenare manifestazioni e rivolte che possono sconvolgere e paralizzare intere regioni, nelle quali lo Stato è, di fatto, assente. E la politica tace, occupata in squallide liti e impegnata a strappare gli ultimi privilegi e gli ultimi spiccioli raccolti con le nuove tasse.

Ricordiamo il "rapporto" che, alla fine degli anni sessanta, il prefetto Libero Mazza inoltrò alle autorità politiche informandole dell'imminente esplodere del terrorismo a Milano ed in Italia. Per aver segnalato il pericolo fu attaccato e criticato, mentre la stampa di sinistra e i salotti buoni ne distruggevano l'immagine professionale. Sappiamo tutti come andò a finire. I segnali che arrivano oggi dalle periferie, dalle categorie più deboli e vessate, dai soliti fabbricanti d'odio annidati nei giornali e nelle televisioni, dal mondo giovanile e da vasti strati della popolazione in difficoltà, indicano con chiarezza che si sta facendo sempre più sottile la linea di demarcazione tra i suicidi a catena, la disperazione di milioni di cittadini e la rivolta di piazza. È necessario esserne consapevoli e costruire subito, senza tentennamenti, senza scuse, senza divisioni partitiche, una robusta diga fatta di interventi economici e strutturali a sostegno delle classi più deboli, di investimenti per lo sviluppo delle piccole imprese, di tagli drastici alle spese per i privilegi di tutte le "caste".

Ricordiamo ai nostri politici che una società in preda alla paura, alla fame, alla rabbia, una società derubata anche della speranza che si ribella al potere delegittimato e arrogante, una società che può sventolare solo la bandiera dell'odio, è molto più pericolosa e incontrollabile dei rivoluzionari ispirati da qualche vecchia ideologia.

Aggiornato il 01 aprile 2017 alle ore 15:21