I maestri dell'arte cinetica

Si è aperta lo scorso 22 marzo la mostra dal titolo "Arte programmata e cinetica. Da Munari a Biasi a Colombo e...", dove il cine-visuale, la poetica, i materiali, le idee, l'estetica e la creatività si fondono in una quantità di opere interessanti, buona parte delle quali "in movimento".

Curata da Giovanni Granzotto e Mariastella Margozzi con la collaborazione di Paolo Martore, l'esposizione offre un considerevole numero di opere partendo dalle creazioni di colui che in un certo qual modo rappresenta il padre di tale movimento: Bruno Munari. In questa specifica "arte programmata e cinetica" il gruppo rappresenta il fulcro delle poetiche. Questo infatti diviene un nucleo creativo con tanto di nome o sigla, sotto il quale converge la metodologia collettiva di lavoro. Siamo intorno agli anni '60 quando i primi gruppi inizieranno a sciogliersi dando vita a individualismi che non mancheranno di affermare la propria natura artistica.

Quindi nelle sale della GNAM si vedranno opere del Gruppo N di Padova, del Gruppo T di Milano, ma anche nomi come Landi, Chiggio, Massironi, Costa, ecc. Si aprirà poi anche agli artisti europei ed extraeuropei: Le Parc, Morellet, Stein, ecc. Gli artisti sudamericani Asis, Vardanega, Soto, ecc. Poi ancora una sezione è stata dedicata agli artisti romani di arte programmata "pura". Insomma una quantità consistente di opere da guardare, studiare e vivere. Il confine è netto con le varie forme di astrazione espressionista, qui si ritrova un ritorno dell'interesse verso la qualità visiva dell'opera. Infatti molte opere presenti, e faccio riferimento ad Agam o a Vasarely, per esempio, vengono considerate "op-art" (optical art), dove artisti diversi erano interessati a tecniche diverse per introdurre nell'opera l'idea di movimento. Allora tecniche di illusionismo, giochi ottici, luci e riflessi come se l'obiettivo non fosse il cuore del visitatore ma la retina.

L'ambiguità ottica è presente in molte opere e spesso la stessa percezione viene chiamata in causa dalle opere. Così il visitatore della mostra si troverà a volte davanti a quadri fortemente simmetrici, regolari, "seriali", a volte davanti ad atmosfere fantastiche, a giochi di luce, a oggetti volanti, a mattoni mobili, a luci psichedeliche, a pavimenti roteanti, a rifrazioni di colore, o forse si troverà davanti a semplici illusioni. Si gioca con la percezione, con la Gestalt, gli schemi , la forma. In altre opere poi, in un modo o nell'altro, è richiesta la partecipazione. Opere che resterebbero senza senso se ci rifiutassimo di "entrare" in esse. Solo così si afferra il senso dell'arte. Così il visitatore potrà entrare nella "Camera stroboscopica" di Davide Boriani e dare senso all'opera, divenendone parte e senso egli stesso, guardandosi e perdendosi in un ambiente illusorio ma concreto.

O ancora potrà perdere lo sguardo nel disco roteante "Dinamica circolare" di Marina Apollonio, abbandonarsi all'ipnotico movimento e ripensare all'"Anémic cinéma" di Duchamp. Ma anche, semplicemente, vivere i colori dell'arcobaleno nel "Variation chromatique" di Joel Stein. Un'esposizione quindi dove si è in buona parte molto coinvolti, dove si deve interagire con l'arte, non solo volontariamente, ma anche inavvertitamente.

Aggiornato il 01 aprile 2017 alle ore 15:35