«Giorgio Chinaglia è il grido di battaglia»

Quando un paio di giorni orsono persino un caro amico su Facebook, come Ivan Dall'Ara, romanista, mi ha scritto un messaggio dicendomi «se fossi stato a Roma sarei venuto alla commemorazione funebre di Chinaglia», allora ho capito che il compianto Long John per la capitale aveva fatto e dato qualcosa in più che impersonare la semplice bandiera umana biancazzurra. 

Forse perché la figura del centravanti ribelle e trascinatore la inventò proprio lui. E questo spiega anche lo slogan ripetuto mercoledì sera davanti alla chiesa di Cristo re a viale Mazzini: «Giorgio Chinaglia è il grido di battaglia». L'estroversione dell'uomo Chinaglia si è trasformata in quella di un' intera tifoseria e poi di un'intera città. La Lazio di oggi è una cosa diversa: più fighetta. E gli striscioni mercoledì invocavano undici Chinaglia contro il Napoli. Significativa è stata  pure l'assenza di una delegazione importante: solo Rocchi e Mauri, due già in partenza. Lotito neanche si poteva fare vedere sennò lo linciavano: fu lui a denunciare Chinaglia per il tentativo di scalata alla società.

La funzione in chiesa cui ho assistito ha avuto quegli accenti tragicomici ed epici tipici  dei funerali di colui che muore giovane perché amato dagli dei. Il cordoglio del suo amico, e capitano della vecchia Lazio, Giuseppe Wilson, è arrivato fino al surreale: inserire Chinaglia in una squadra calcistica di gente scomparsa che conta ormai nomi come Luciano Re Cecconi, Mario Frustalupi e tanti altri, con l'allenatore compianto da sempre, Tommaso Maestrelli, è in fondo una nuova frontiera del macabro. Come la "all dead stars band" del rock 'n' roll, quella Con Jim Morrison, Jimi Hendrix, Keith Moon e Janis Joplin. Ma ipotizzare di raggiungerli presto per giocare in cielo insieme a loro in un campionato celeste in competizione con una squadra guidata da Gesù in persona va oltre l'idolatria del dolore e della nostalgia dei bei tempi. Eppure non si è potuto fare a meno di applaudire. Wilson a parte, in quella cerimonia di mercoledì va menzionato anche l'autore dell'attuale inno della Lazio, cioè Toni Malco, che ha colmato le lacune di un mio ricordo. Cioè l'esordio in A con la maglia della Lazio di Giorgio Chinaglia appena acquistato con Wilson dall'Internapoli: era il 24 settembre 1969.

Era quel Lazio-Milan (uno a zero), ed era il diciassettesimo del secondo tempo quando Long John si inserì tra il difensore che maldestramente aveva appoggiato su Cudicini per infilare di potenza il portiere rossonero. Last but not least l'orazione di Felice Pulici, che ha letto una lettera di Chinaglia sinora inedita anche perché spedita a lui personalmente. In essa si rievocano le ragioni dell'addio alla Lazio e dell'inizio dell'avventura con i Cosmos di New York, in cui presto si sarebbero ritrovati anche Pelè e Beckenbauer. Niente di trascendentale: Chinaglia voleva vivere in America con la moglie e si era lasciato con qualche piccola incomprensione con alcuni suoi colleghi tra cui Polentes. Qualcuno un giorno disse a Giorgione: «Ti capisco, un giorno potrai dire di avere giocato insieme a Pelè». E lui così rispose: «No, sarà lui a potere dire di avere giocato insieme a me». 

Aggiornato il 01 aprile 2017 alle ore 15:35