Ecco la commedia anglo-italiana

Il pubblico italiano è abituato ai prodotti non autoctoni, specialmente a quei format televisivi in salsa tricolore che negli ultimi 10-15 anni hanno contribuito ad una virata del gusto nazionale. Se è vero che i critici non smettono di dannarsi per l'invasione del formato reality che ha invaso gli italici palinsesti, è anche vero che questo sta subendo un certo declino. Resiste e prospera "Ballando con le Stelle", anche questo basato su "Strictly Come Dancing" della britannica BBC, probabilmente perché, in modo delicato e intelligente, si avvicina alla sensibilità da varietà ancora cara al pubblico italiano.

Per il cinema il discorso cambia, e in particolare per ciò che riguarda la commedia. Ed è naturale che sia così perché la commedia è il genere che più di ogni altro rispecchia l'anima di un popolo, la cultura nazionalpopolare, i luoghi comuni e le idiosincrasie. Gli italiani sono affezionati alla commedia di casa loro, sebbene questo sia un momento in cui il famigerato cinepanettone sta attraversando un'evidente crisi e di commedie ben riuscite ce ne siano poche. Ciò nonostante, per la commedia, e almeno al cinema, gli italiani si affidano agli italiani, non c'è storia. Per questo sorprende che "È nata una star?", la nuova commedia di Lucio Pellegrini, sia basata invece su un racconto dell'inglesissimo Nick Hornby (Not a Star).

Hornby è uno scrittore, commediografo e saggista contemporaneo assolutamente inglese. I suoi lavori sono inzuppati di "inglesità", il suo umorismo è inglese, i suoi riferimenti culturali pure. Se proprio gli italiani avessero voluto impossessarsi di qualcosa di suo, avrebbero dovuto litigarsi "Febbre a 90°" (<+corsivo>Fever Pitch<+tondo>), perché la malattia del calcio è una patologia comune sia agli italiani sia ai cittadini d'oltremanica. Ma a trasportarlo sul grande schermo ci pensarono dapprima gli inglesi e poi gli americani. Ancora più sorprendente la scelta del regista di portare al cinema proprio un racconto che tratta il tema decisamente particolare della pornografia.

La trama è molto semplice: due genitori (Luciana Littizzetto e Rocco Papaleo) scoprono che il figlio diciottenne (Pietro Castellitto) ha una doppia vita da pornostar. Ciò che tiene in piedi la narrazione sono gli sconvolgimenti e le reazioni all'insolita scoperta, gli equilibri che saltano e le convinzioni che cambiano. Se avere un figlio pornostar può essere un fatto imbarazzante per una famiglia inglese, figuriamoci per una famiglia italiana. Poco importa se siamo nel 2012, un pornoattore in famiglia è ancora una cosa da evitare a tutti i costi.

Il tentativo di Pellegrini ha il merito e il coraggio di aver tentato un'incursione nel panorama della commedia inglese e anche di aver scelto un tema piccante e insolito, che già lo scorso anno fece la fortuna di "Nessuno mi può giudicare". Ci sono almeno un paio di motivi per cui, in questo momento particolare, il film potrebbe rivelarsi un piccolo e forse inaspettato successo. Per prima cosa, il racconto di Hornby su cui è basato è quasi un canovaccio, semplice e senza troppi riferimenti culturali: ha lasciato spazio per rendere la commedia il più italiana possibile. Secondo, è stuzzicante e curiosa la storia del giovane senza qualità, senza doti (almeno non evidenti…) e senza prospettive per il futuro, che in un momento di crisi del lavoro trova una via d'uscita singolare ma decisamente efficace. Alla fine il successo, come sempre, lo decreta il botteghino. "È nata una star?" è al secondo posto per incassi. Ma gli spettatori escono dalle sale più perplessi che soddisfatti.

Le critiche dure non si sono fatte attendere. C'è chi sostiene che il regista avrebbe potuto osare di più, essere più scorretto, più frizzante e meno educato. C'è chi afferma che dopo l'inizio scoppiettante il film si appiattisce e rallenta. Alcuni hanno obbiettato che si ride troppo poco, che è troppo politically correct, molto più del racconto originale e forse eccessivamente. Può darsi. Ma forse chi ha questo tipo di obiezioni da fare non ha letto con attenzione il racconto di Hornby, o magari non l'ha capito. Il linguaggio dello scrittore inglese è schietto ma ben limato, gli imbarazzi ovviamente ci sono (devono esserci, visto il tema) ma sono ridotti al massimo dell'eleganza possibile, al sorriso malizioso. Nessuna esagerazione, nessuna volgarità.

Un paio di risate spontanee escono inarrestabili giusto (guarda caso!) alle prime battute del racconto. Poi questo diventa qualcosa di diverso, prende un'altra piega, più introspettiva, meno frizzante rispetto all'inizio roboante che sembra dover prendere il volo. Lo straordinario rientra lentamente nell'ordinario, tutto nello spazio di poco più di una giornata. Perché il racconto non è affatto la comica storia di un ragazzo normale che ha una doppia vita da pornostar. È innanzitutto la storia di una donna, moglie e madre che, in seguito alla scioccante scoperta, si riconcilia inaspettatamente con il suo passato e il suo presente. È la storia di una famiglia che recupera un rapporto di confidenza e di qualità tra i suoi membri (nessun doppio senso voluto!).

Infine è una storia che narra di quanto i genitori siano disposti ad accettare dei propri figli e per i propri figli, di come riescano ad adattarsi ai loro desideri, alle loro inclinazioni, con l'unico fine di fare la loro felicità. È una storia su come la maggior parte delle cose che capitano nella vita, e che fanno saltare gli equilibri della famiglie a volte in modo irrimediabile, possano essere facilmente superate semplicemente prendendole per il verso giusto. A pensarci bene, il racconto dello scrittore inglese è una storia d'amore. Amore per la famiglia ma soprattutto infinito, sconfinato amore per i figli. Forse è proprio questo il punto che il film ha clamorosamente mancato, ha messo da parte troppo velocemente, aggiungendo qua e là episodi irrilevanti che annacquano il senso del racconto, nell'affannoso tentativo di rispondere al gusto di un pubblico più facile di quello che Hornby avrebbe previsto.

Aggiornato il 01 aprile 2017 alle ore 15:33