Il crollo del Ponte Morandi (al pari della strage di Viareggio, dei morti della torre piloti al porto di Genova) scuote ancora le nostre coscienze, ma fortifica l’indignazione verso le logiche del “partenariato pubblico-privato”. I familiari delle vittime (e lo scrivente condivide il loro pensiero) affermano che il silenzio stampa potrebbe favorire chi confiderebbe nelle lungaggini della giustizia italiana. Così le parole del procuratore aggiunto Paolo D’Ovidio all’indomani dell’incidente probatorio, “verosimilmente le indagini potrebbero essere chiuse in primavera”, allarmano la difesa di alcuni indagati, che temono una giustizia veloce possa allontanare la scappatoia d’una prescrizione per omicidio colposo: come recentemente accaduto in Cassazione per la strage di Viareggio. D’Ovidio coordina l’inchiesta insieme ai sostituti Massimo Terrile e Walter Cotugno: magistrati esperti e determinati, che hanno già affrontato le burrascose acque dell’inchiesta sulla tragedia della torre piloti (sette vittime).
Un mesetto fa, Egle Possetti (presidente del Comitato Ricordo Vittime Ponte Morandi) aveva detto “Autostrade gestisce anche il nuovo ponte San Giorgio”. Emergeva come burocrati, funzionari e dirigenti vari indagati per eventuali omissioni in merito al controllo del Morandi, fossero ora impegnati nella gestione del nuovo ponte San Giorgio. Quindi lo scrivente era intenzionato ad intervistare i vertici di Autostrade: tanti i messaggi e le telefonate all’ufficio stampa di Aspi (Autostrade per l’Italia) ma senza ricevere alcuna risposta. Tramite la Cgil genovese si otteneva il recapito di Paola Setti (addetto stampa Aspi): quindi si domandava con insistenza di poter ascoltare i nuovi vertici di Autostrade, anche in merito all’eventuale entrata di capitali spagnoli in Atlantia (già Autostrade spa).
Paola Setti ci scriveva che l’iter burocratico interno prevede “l’invio d’una mail, con richiesta d’intervista (a [email protected]) specificando testata e motivo dell’intervista”. Dopo l’invio delle mail (due per la verità) non è mai giunta risposta, né un vero e proprio diniego: è il caso di dire che la richiesta è stata ignorata. L’episodio è stato piacevolmente commentato con Egle Possetti e con Dino Frambati (genovese e consigliere nazionale Ordine dei giornalisti): anche perché voci di corridoio Aspi ci hanno confermato che “l’azienda permette siano rilasciate interviste esclusivamente a testate di rilievo istituzionale… ovvero Corriere, Stampa, Repubblica, Rai ed Ansa”. “Una visione della comunicazione – ha spiegato Frambati – comune a molte grandi aziende e multinazionali. Di fatto pretendono una certa istituzionalità, un filtro… ma l’Ordine dei giornalisti non può fare molto. Anche perché agli uffici stampa pare venga ordinato d’operare una discrezionalità alquanto elastica”.
Ne deriva che, anche intervistare i tecnici decani delle autostrade liguri (anche qualche geometra forse indagato per il crollo del Morandi) diventi a dir poco impossibile. Fortunatamente, oltre a ficcanasare fisicamente, oggi si riesce anche a contare sul valido aiuto di internet. Così troviamo sul sito BeBeez “il Gruppo Luccini cerca un nuovo socio per crescere nella manutenzione di infrastrutture”. Il Gruppo Luccini era impegnato con le manutenzioni del Morandi, e sarebbe stata una delle ultime imprese con cantiere sulla struttura collassata. “Le aziende del Gruppo Luccini (Mga, Tls e Soteco) – scrive Valentina Magri su BeBeez – sono alla ricerca un nuovo socio per crescere… la famiglia Luccini, cui fanno capo le tre società, intende farle confluire in una holding costituita appositamente per favorire la cessione della quota di maggioranza, preferibilmente a un fondo. L’asta è appena partita e dovrebbe chiudersi nel 2021”. Il modello di business del Gruppo Luccini è incentrato sul meccanismo delle gare pubbliche d’appalto: strumento attraverso cui i committenti (concessionari e gestori come Gavio, Aspi-Autostrade per l’Italia, Anas) sono obbligati per legge ad assegnare i lavori di manutenzione, ma il 40% degli stessi viene assegnato direttamente fuori asta.
Intanto la procura genovese ha appurato che, poco prima del crollo del Morandi, avevano operato manutenzione la Mga (Gruppo Luccini) e la Weico (azienda di Bolzano): ultimi lavori sarebbero stati la posa di nuovi “new jersey”, il posizionamento reti di sicurezza e non chiari “lavori non strutturali” ma alla vigilia del disastro. Torniamo, insieme ad Egle Possetti, a chiederci se i funzionari dell’Aspi responsabili della tratta su cui insisteva il vecchio Morandi avessero mai dato ascolto all’infinità di segnalazioni dei residenti: tutte incentrate su vibrazioni e pezzi di calcestruzzo in caduta. Non certo il primo cantiere Mga osservato per probabili infortuni: prima dei quarantatré morti del Morandi era capitato a Bastia Mondovì, dove l’operaio Silvio Antonelli veniva schiacciato da una lastra per inottemperanza delle norme di sicurezza da parte dell’azienda titolare dei lavori (lo hanno scritto i giudici).
E che dire del crollo a febbraio 2021 della volta della galleria autostradale “della Moranda” nei pressi del casello di Chiavari? Lo scorso marzo lo scrivente s’è recato sul posto, raccogliendo l’indignazione della popolazione locale, ma anche l’impossibilità di visionare in lontananza il casello, poiché presidiato dalla security di Bral srl: che evita si possa curiosare, ma anche che gli operai rivelino i segreti dell’opera.
Anche Luciano Sanna era dipendente della Bral srl, ed ha perso la vita a dicembre 2020 in incidente in cantiere autostradale ligure: cantiere che sarebbe stato della Weico srl, quindi la Bral pare non avesse titolo a stare sul cantiere. Fonti liguri confermano che l’operaio sarebbe stato in distacco formativo presso la Weico: Sanna, ci dicono gli addetti ai lavori, operava da anni in ambito autostradale, non necessitava d’alcuna formazione. Sembra l’incidente sia avvenuto con un mezzo speciale (lo chiamano “By Bridge”) che la Weico aveva noleggiato da una terza società. Anche in caso di subappalto o subaffido Luciano Sanna non avrebbe potuto usare sul cantiere un mezzo della Weico o d’impresa terza? C’è anche qui l’inchiesta della magistratura. Ci conforta che la procura di Genova non operi nello stesso tessuto delle procure calabresi, le cui difficoltà ad appurare le irregolarità nei cantieri della Salerno-Reggio Calabria sono da ritenere ineguagliabili.
Nemmeno paragonabili con le bretelle campane, abbandonate (dopo rimpalli di competenze tra Anas e province) perché “non più ravvisabili gli elementi di pubblica utilità”: nel frattempo hanno avuto corso espropri ed il territorio è stato violentato e cementificato. Soldi che girano e ditte che lavorano nelle pieghe dei subappalti. È terribile anche solo pensare che le stesse logiche potrebbero aver gestito gran parte delle manutenzioni di ponti (più famoso il Morandi) come di gallerie, cavalcavia, caselli, manti stradali, segnaletiche.
L’Aspi (gruppo Atlantia, principale azionista la famiglia Benetton) ci ha messo i soldi e controlla il livello amministrativo-finanziario dell’azienda, ma chi dovrebbe vigilare sui lavori sta in Autostrade dai tempi dell’Anas. Dicono che se qualche Zio Paperone investisse in strade ferrate, si ritroverebbe la stessa burocrazia di Ferrovie ed Anas. Si spera emerga presto una lettura dei fatti genovesi tanto lucida da tagliare il nodo gordiano di vecchie, obsolete e ferali abitudini. Soprattutto una sentenza che rimetta in discussione quel partenariato pubblico-privato, troppo spesso servito a diluire e rimpallare le responsabilità penali, civili ed amministrative.
Aggiornato il 16 aprile 2021 alle ore 11:10