Anche i giovani italiani hanno bisogno di “integrazione”

Il professor Ernesto Galli della Loggia, in un commento sul Corriere della Sera del 19 febbraio scorso intitolato “Lo ius culturae richiede una vera integrazione”, nega il presupposto principale che sta alla base della proposta di legge del Pd di dare la cittadinanza italiana a tutti i giovani immigrati minorenni i quali abbiano frequentato con profitto in Italia un ciclo scolastico di cinque anni o un corso di formazione professionale triennale. Quel presupposto è in effetti falso perché presume che un ragazzino di 12-13 anni che abbia frequentato un ciclo elementare di 5 anni o un corso di formazione di 3 anni sia già di fatto realmente e pienamente “integrato” nella società italiana. Quell’adolescente normalmente – secondo della Loggia – non può essere infatti ancora autonomo dalle influenze del “totalmente condizionante” ambiente familiare e comunitario il quale di solito contraddice in pratica “il sistema di vita e i valori caratterizzanti della nostra società”. Della Loggia fa l’esempio di giovani cresciuti in famiglie musulmane le quali non riconoscono l’eguaglianza giuridica delle donne e affermano invece la supremazia del marito sulla moglie e del padre sulle figlie negandone la volontà stessa e la libertà di scelta.

Le domande che si pongono sono stringenti: si può davvero credere che un semplice corso elementare di 5 anni, arricchito da una frettolosa lettura della Costituzione (condita magari de qualche sermoncino edificante sulla “bellezza” della medesima) possa servire a qualcosa? Che dire dei corsi di formazione professionale di soli 3 anni organizzati inoltre dalle Regioni, la cui povertà culturale è ben nota e dove manca qualsiasi accenno alla Costituzione?

Sono domande serie e le ignori –  come fanno molti intellettuali e politici di sinistra –  è solo perché il loro fine è probabilmente diverso da quello dichiarato: è innegabile che la legge sullo ius culturae si tradurrebbe in una sanatoria per migliaia di immigrati irregolari, le cui premesse sono già state poste da alcune sentenze che stabiliscono l’impossibilità di respingere un genitore di un ragazzino che fosse già “integrato” di fatto; a maggior ragione se il piccolo fosse anche cittadino italiano. Che questo progetto sia collegato a intenzioni e calcoli elettorali della sinistra è questione difficile da provare, come tutti i processi alle intenzioni. Della Loggia nel suo articolo definisce una tale congettura “una ridicolaggine”. Ma non è questo il punto principale del suo articolo, né quello che qui più ci interessa.

Dalle sue premesse Della Loggia trae, infatti due osservazioni condivisibili e una proposta conclusiva che lo è meno: la prima osservazione condivisibile è che “lattribuzione della cittadinanza agli immigrati non possa avvenire su una base automatica e generalizzata, ma debba avvenire “su base individuale e previo accertamento delle qualità specifiche del richiedente”; la seconda è che resti la maggiore età come condizione che faccia supporre, in linea di principio, l’avvenuta autonomia del giovane immigrato dai condizionamenti familiari e comunitari.

Della Loggia, però, ne deduce poi “la necessità di “una politica dintegrazione specificatamente rivolta ai giovani e giovanissimi provenienti da altri Paesi con la ovvia presenza anche di una quota di giovani italiani” e da svolgersi soprattutto fuori dalla scuola “che ha già fin troppe cose di cui occuparsi”. E propone di conseguenza l’istituzione di un sottosegretariato all’integrazione (una specie di Cassa per il Mezzogiorno) che organizzi e finanzi per ragazzi e ragazze stranieri “viaggi gratuiti distruzione nei luoghi storico-artistici del nostro Paese”, “campeggi estivi nei suoi territori più tipici”, “brevi soggiorni estivi nelle nostre scuole militari”, “concorsi culturali a loro riservati”, “vasti programmi di borse di studio, soprattutto per le ragazze, “programmi radiofonici e televisivi a loro dedicati e da loro gestiti”. Qui non ci siamo più: perché solo i giovani stranieri?

La proposta di dividere nel progetto integrativo i giovani stranieri da quelli italiani non può che suscitare a mio avviso sorpresa e totale disaccordo. E non solo perché il percorso di integrazione da lui proposto, proprio perché discriminante, sarebbe un percorso di separatismo evidentemente opposto ad un processo che ha il fine dell’integrazione. Esso è anche sorprendente perché viene proprio da un intellettuale che ha scritto un magnifico saggio sulla distruzione della scuola italiana (L’aula vuota. Come l’Italia ha distrutto la sua scuola, Marsilio 2019) dove denuncia la distruzione della nozione stessa dell’educazione come “addestramento scolastico che si prefigge principalmente lo scopo di instillare nell’allievo comportamenti e valori congrui a un certo tipo di ordinamento politico-sociale”. La distruzione della scuola in Italia sta producendo cioè – secondo lo stesso professore – giovani italiani non integrati nella nostra società, cioè nella cultura e nella civiltà in cui sono nati e dove sono per lo più destinati a vivere.

Se ne deduce che anche i giovani italiani hanno bisogno di un percorso di “integrazione” quanto i giovani stranieri, dato che sono cresciuti e sono stati diseducati da cattivi maestri in un clima di ignoranza, di indifferenza, se non anche di rifiuto ideologico dei valori fondamentali della propria cultura. Ne hanno bisogno forse ancora di più dei loro coetanei stranieri perché a loro differenza sono figli delle distruzioni etiche e culturali del nichilismo imperante e dominante in Europa.

La questione dell’integrazione dei giovani immigrati può perciò costituire una grande occasione per integrare anche i giovani italiani ai valori di libertà, democrazia e solidarietà che sono e devono restare il nucleo base della società italiana ed euro-occidentale. Innanzitutto i giovani stranieri e italiani devono acquisire una consapevolezza del significato attuale di quei valori e del loro lungo cammino storico e filosofico, segnato e rinsanguato da contrasti interni e spesso interconnesso con quello di altre civiltà, egualmente degne di attenzione storico-critica. Se davvero si crede in quei valori essi possono essere il nucleo attorno al quale si può riformare la scuola italiana (ed europea), destinandola ad arrestare la corsa verso il nulla e l’anomia che oggi affligge e disorienta i giovani italiani più di quelli stranieri.

Questi ultimi infatti al nulla valoriale proposto oggi dal sottosuolo relativista della cultura occidentale, preferiscono il tradizionalismo e spesso il fondamentalismo delle loro famiglie e culture d’origine. Non è certamente realistico né proficuo immaginare impossibili ritorni alla scuola del passato, ma forse si può rifondare la nostra scuola con un progetto all’altezza dei tempi, che elabori la coscienza delle differenze culturali e del loro incontro-scontro in Europa. Occorre a tal fine elaborare un nuovo progetto di scuola che la trasformi in un’agenzia di senso e di orientamento culturale, più che professionale, per giovani sia italiani sia stranieri. Ammesso che non sia troppo tardi e che sia ancora possibile.

Aggiornato il 21 febbraio 2020 alle ore 13:54