Criscuoli e il Csm in un cul-de-sac

La vicenda che mesi fa vide protagonista il giudice Luca Palamara e che mise a nudo quanto il Consiglio Superiore della Magistratura sia infarcito di scontri di valenza politica – cosa che tutti da anni sapevano bene, ma di cui parlare sembrava una forma di maleducazione istituzionale – presenta oggi altre articolazioni inattese e per certi aspetti perfino divertenti.

Accade infatti che il dottor Paolo Criscuoli, membro togato del Csm, martedì scorso stesse per sedersi al suo posto alla ripresa post-feriale dei lavori del Consiglio. Ma non aveva fatto i conti con i suoi colleghi, molti dei quali minacciarono di bloccare i lavori se Criscuoli non avesse immediatamente abbandonato la sala del Consiglio. Quale la sua colpa? Esser stato presente la sera in cui Palamara fu intercettato mentre, in un salottino di un albergo romano, trafficava su assegnazioni di posti direttivi, spartizioni di poteri, iniziative di Procure ecc..

Tuttavia, nessuna censura fu mai possibile muovere a Criscuoli: risulta che egli non disse una sola parola, non si interessò, rimase come avulso dalla riunione; infatti egli non risulta indagato da alcuna Procura né sottoposto a procedimenti disciplinari di sorta. Anzi, fu egli stesso ad autodenunciarsi, rivelando di esser stato presente all’incontro, particolare che non era ancora per nulla emerso, ma precisando subito la sua assoluta estraneità a maneggi e traffici di alcun tipo.

E allora, perché i suoi colleghi non lo vogliono? Temono forse di contaminarsi? Temono di perdere la loro verginità politica e istituzionale? Mistero, anche alla luce di due osservazioni.

La prima. Criscuoli non è chiamato a rispondere di un bel nulla semplicemente perché nel suo comportamento nulla di rilevante è stato riscontrato, per cui non solo non è obbligato a dimettersi, ma nessuno può pretendere che lo faccia. Chi sono allora i suoi colleghi per pretendere ciò che le istituzioni non sono abilitate e chiedere? Si sentono forse superiori alle leggi? Si sentono super-giudici abilitati a dettare sentenze di espulsione verso chicchessia? Sarebbe questo il senso del diritto che costoro coltivano? E se così fosse, non ci sarebbe da restarne preoccupatissimi e quasi paralizzati dalla paura?

La seconda osservazione. Questi colleghi di Criscuoli hanno fatto, prima di dettare espulsioni varie, un debito esame di coscienza? Si sono cioè chiesti se loro medesimi, in altro tempo e in altro luogo, abbiano adottato comportamenti simili a quelli di Palamara? E, ovviamente, non di Criscuoli, visto che a questi nulla si rimprovera?

Si spera quindi che Criscuoli non si dimetta, anche perché egli non è stato nominato tramite un provvedimento specifico, bensì eletto attraverso una libera tornata elettorale, ottenendo un risultato lusinghiero, con oltre 500 preferenze dei suoi colleghi togati: e una elezione dal basso non può essere ignorata come nulla fosse, rappresentando la più intensa e significativa delle investiture.

Insomma, dobbiamo difendere Criscuoli dal Csm – che dovrebbe custodire il diritto e invece inaugura una sorta di assurdo “reato di presenza” accusandone Criscuoli – perché difenderlo equivale a difendere il diritto e il senso del diritto e, in definitiva, ciascuno di noi.

Non basta. Se Criscuoli, cedendo alla violenza delle pressioni, si dimettesse, metterebbe il Csm in guai peggiori. Infatti, il primo dei non eletti dopo di lui e chiamato a succedergli sarebbe il giudice Bruno Giangiacomo, in atto incappato in una disavventura molto seria, in quanto risulterebbe che quando esercitava le funzioni di Gip, intratteneva una relazione duratura con una avvocatessa di Bologna, poi condannata per spaccio di eroina. Due illeciti in un colpo solo: il primo, per aver esercitato la funzione giudiziaria nello stesso Tribunale ove operava un avvocatessa a lui sentimentalmente legata, cosa che non deve mai accadere. Il secondo, per aver intrattenuto rapporti personali e duraturi con una persona che sarebbe implicata nel traffico di stupefacenti. Per questo, molti suoi colleghi gli hanno già chiesto di dimettersi se fosse chiamato a succedere a Criscuoli: una sorta di dimissione anticipata. Mai sentito ma vero.

Insomma, un vero e imbarazzante “cul-de-sac” in cui si trova a dibattersi il Csm. Chi esso potrebbe volere – Criscuoli – non vuole, per oscuri motivi forse legati ad una malintesa forma di pudore sociale; chi invece – Giangiacomo – esso non dovrebbe volere perché implicato negli illeciti sopra accennati, paradossalmente vuole: il Csm insomma non vuole chi dovrebbe volere e vuole chi non dovrebbe. Divertente, no?

Difficile uscirne senza gravi imbarazzi e senza perdere una buona dose di credibilità. Queste vicende sono tuttavia benvenute, perché istruttive; fanno intendere a tutti cosa si nasconda sotto la facciata di quel perbenismo politico-strumentale che tanti guasti ha causato alla corretta funzione istituzionale.

Non tutti capiranno. Scommetto che i 5 Stelle e i loro più accaniti sostenitori non capiranno. Ma spero negli altri.

Aggiornato il 13 settembre 2019 alle ore 17:52