Da tre giorni, ascoltando la rassegna stampa mattutina su Radio Radicale, mi sono tornati alla mente due pensieri ricorrenti. Infatti, soltanto per questa settimana, la mitica “Stampa e Regime” è tenuta e condotta dal direttore Arturo Diaconale. Ecco perché, da collaboratore del quotidiano L’Opinione e da Radicale, mi sono venuti alla mente – dicevo – due pensieri dominanti. Uno è quello sulla differenza tra Pirati e Corsari, l’altro è il pensiero a Massimo Bordin, che resterà per sempre la voce, il corpo e la testa di “Stampa e Regime”, ma non soltanto. Perché Bordin ha lasciato un segno indelebile nel giornalismo italiano, soprattutto in tema di giustizia.

In Italia, ho subito pensato questa mattina ascoltando la rassegna stampa di Arturo Diaconale, i Pirati si dividono in due categorie: quelli che stanno con il Capitano e quelli che stanno con la Capitana. Poi, ci sono i Corsari, che sono altro dai Capitani e dai Caporali, ma soprattutto i Corsari sono altro dai Pirati guidati da Capitan Uncino.

Poi, dopo un colpo di tosse di Arturo, ho pensato a Bordin. Ogni mattina, all’alba, Massimo prendeva tutti i quotidiani del giorno e smontava le varie notizie, una ad una, le riordinava nella sua mente, per poi ricomporre il puzzle in un giornale tutto nuovo, tutto suo, fatto dai tanti pezzi degli altri organi di stampa. Ma quel suo grande giornale non era scritto su pagine di carta, era semplicemente sfogliato con la parola, raccontato a voce, letto oralmente. Infatti, “Stampa e Regime” non era soltanto la mera sommatoria dei diversi quotidiani del mattino quanto - piuttosto - un’altra cosa, un altro foglio, una sorta di giornale di tutti i giornali. Era una rassegna stampa che realizzava “il giornale dei giornali”. Chi ascolta Radio Radicale sa a cosa mi riferisco.

Ora che si è fatto un po’ più di silenzio, dopo il giusto esplodere dei cordogli e dei ricordi, delle condoglianze e dei riconoscimenti, vorrei mandare anch’io, da qui, il mio ultimo saluto a Massimo Bordin. Perché è stato ed è ancora un vero maestro del giornalismo italiano e transnazionale, ma è stato e resterà sempre un compagno sincero di innumerevoli lotte politiche. Almeno per il sottoscritto.

Ecco il punto, si è parlato molto (e finalmente!) del Bordin giornalista e autore nonché fautore della rassegna stampa di Radio Radicale perché il giornalismo è stato ed è il suo primo e principale connotato, ma io lo ricordo anche come uomo politico che partecipava e interveniva ai Congressi, ai Comitati, alle riunioni dei Radicali. Parlava e diceva la sua anche nei seminari politici, nella sedi proprie del Partito Radicale e di Radicali Italiani. Insomma, tutti lo conosciamo e lo abbiamo conosciuto per il suo ruolo carismatico e per la sua attività giornalistica dentro e fuori Radio Radicale, soprattutto come direttore dell’emittente dal 1991 al 2010, ma Bordin era anche – almeno dal mio punto di vista – un uomo politico senza ambizioni politiche, senza ambizioni elettorali, ma un vero politico, nel senso migliore e più alto della parola. E io attendevo sempre con grande interesse e curiosità i suoi interventi ai Congressi e agli incontri dei Radicali. Era una persona che non pretendeva di dare una linea politica e nemmeno di rappresentarne una. Anzi, era un uomo politico che voleva rappresentare solo se stesso e le sue idee, ma dicendo chiaramente come la pensava e volendo dare un importante contributo politico al dibattito, alla discussione, al dialogo interno ai Radicali.

Penso di averlo conosciuto abbastanza bene. Eravamo legati soprattutto dalla comune passione per lo scrittore Leonardo Sciascia, ma non soltanto. Massimo Bordin era un uomo libero e onesto, anche intellettualmente onesto, dote che - a quanto pare - è divenuta oggi assai rara. A volte, va ricordato, Bordin poteva apparire un po’ troppo severo oppure schivo, a tratti ruvido, ma era invece una persona gentile d’animo e nei modi. Era umile, ma non modesto; leale, ma non fideistico; coraggioso, ma non incosciente e non temerario; forte, ma nonviolento (una sola parola); colto, ma non saccente.

Una delle soddisfazioni e gioie più grandi, almeno nella mia attività di giornalista, è stata quella di essere spesso citato da Massimo, durante “Stampa e Regime”, quando dava voce e, aggiungerei, visibilità ai miei articoli. Perché sapevo che, per un giornalista, essere citati nella rassegna stampa di Bordin voleva dire sentirsi sulla vetta del Monte Bianco, significava arrivare a tantissimi ascoltatori, soprattutto a parlamentari, a personalità autorevoli delle nostre istituzioni, ai militanti politici e radicali. Sentir leggere i miei articoli da Massimo era davvero il massimo per me.

Infatti, puntualmente, appena ciò accadeva, molti amici mi chiamavano o mi mandavano dei messaggi per informarmi che Bordin aveva citato o letto il mio pezzo. A volte, dopo la rassegna stampa, mi ha chiamato al telefono direttamente Marco Pannella, per ingraziarmi, per complimentarsi. Sono emozioni che, permettetemi, valgono come un Premio Pulitzer.

A parte la rassegna stampa, che ho vissuto personalmente e vivo ancora oggi tutte le mattine sintonizzandomi su Radio Radicale, ci tengo a rivendicare con fierezza di aver ascoltato le conversazioni radiofoniche tra Pannella e Bordin tutte le settimane, per vent’anni, senza perdermi una sola puntata. Come una febbre. È stata una palestra di cultura politica sconfinata, un esercizio meraviglioso alla comprensione di me stesso e dell’altro. Sentire Pannella e Bordin parlare per due ore ininterrottamente mi ha abituato all’ascolto attento delle parole, all’uso preciso dei vocaboli, al senso delle cose, ai rimandi, ai ritorni, alla memoria, alla storia, ai nomi, agli incroci che questi due fuoriclasse della politica e del giornalismo hanno saputo donarci nelle loro conversazioni settimanali. Perché Bordin, anche in quei frangenti, tirava fuori la sua verve politica, la sua ironia e autoironia, il suo bagaglio di conoscenza, la sua sensibilità per i diritti umani e civili, il suo senso della giustizia giusta, il suo animo laico, i suoi ragionamenti raffinati, da vero politico. Non soltanto, quindi, da grande giornalista qual era, ma da uomo politico.

Scrivo di Massimo per come l’ho conosciuto io, per quello che ha rappresentato lui per me e nel nostro rapporto umano, soprattutto nella vita interna alla cosiddetta galassia pannelliana dei Radicali. Sono sicuro che mi volesse bene come io stesso ne volevo a lui e sono sicuro che mi ricambiasse di un affetto vero e disinteressato. Tra l’altro, nell’aprile del 2008, a Roma, insieme a Gianfranco Spadaccia, Massimo Bordin accettò volentieri di partecipare, come relatore, alla presentazione di un mio saggio storico-politico. Inoltre, mi ha sempre fatto effetto che suo figlio si chiamasse Pier Paolo come me, scritto staccato, come Pasolini.

L’ho incontrato l’ultima volta a Piazza Fiume, a Roma, circa un anno fa, sotto la Rinascente, ed era un bel po’ che non mi capitava di vederlo. Ci siamo scambiati un saluto fugace, ma lui ha mostrato subito un sorriso sincero nei miei confronti e un’espressione degli occhi tipica di chi è felice di rivederti. Ho provato un senso di reciprocità e di affetto in quel breve scambio di sguardi. Ero contento di rivederlo e ho avvertito nettamente che questa mia gioia era ricambiata anche da Massimo. Ho sentito una sensazione bella dentro di me perché, in quel frangente, da parte di Bordin, ho percepito come una sorta di volontà al riconoscimento reciproco. Come se fosse stato uno sguardo quasi paterno e, per me, questa forma di stima, proprio perché veniva da Massimo, vale ancora oggi come un complimento.

Ora che si è fatto un po’ più di silenzio, dopo il giusto esplodere dei cordogli e dei ricordi, delle condoglianze e dei riconoscimenti, vorrei mandare anch’io, da qui, il mio ultimo saluto a Massimo: Ciao, direttore, sei e resterai un esempio.

Aggiornato il 03 luglio 2019 alle ore 13:44