Come si cambia

Nella nostra società tecnocratica e materialista, dominata dalle distanze dettate dal web e dall’egoismo dettato dal marketing, attraversata dalla pubblicità e dalla propaganda, dalla violenza e dalla sopraffazione sociale, siamo abituati a misurare il valore o l’importanza delle persone tramite il metro del successo raggiunto, delle ricchezze accumulate, del potere esercitato, degli abiti firmati, del pragmatismo dimostrato, delle capacità di guadagno. Ma sono questi gli elementi che connotano la qualità delle persone? Sono davvero questi i tratti che spiegano chi siamo? Infatti, ecco le domande che dovremmo rivolgere a noi stessi: chi siamo? Quali sentimenti sappiamo donare? Quale amore riusciamo a dare? Del resto, l’amore non s’impara, ma se smettiamo d’imparare l’amore, smettiamo anche d’amare. Questa è, per me, la base della Politica. L’amore s’impara da chi ti ama. Per tale motivo dovremmo abbracciare una Politica d’amore. Non a caso, le parole che tracciano il profilo di questa parte materialista e tecnocratica della nostra esistenza sono: successo, rabbia, competizione sfrenata, scontro, conflittualità, denaro, fatti, tecnica, efficacia, efficienza, realismo, possesso, furbizia, pragmatismo, quantità, violenza, debolezza, performante, egoismo, conformismo, omologazione, funzione, distacco, paura, standardizzazione, guerra, armi, dominio, egemonia, solitudine.

Al contrario, le parole che delineano una vita ispirata, profonda e attraversata dall’amore sono: umiltà, forza, libertà, fantasia, immaginazione, creatività, fragilità, coraggio, sogno, poesia, sensibilità, ascolto, dialogo, incontro, qualità, insieme, amor proprio, alterità, generosità, luce, arte, ricerca, dubbio, curiosità, esprimere, voce, movimento, parola, verità, nonviolenza, musica, cuore, lealtà. Insomma, forse non ci rendiamo conto che l’aspetto materiale raggiunto o praticato, come pure il successo mediatico o informatico, finanziario ed economico, rappresentano soltanto l’esteriorità della vita, sono l’illusione d’un momento, cioè connotano l’apparenza delle cose, ciò che appare esternamente e non ciò che le cose o le persone sono davvero. Infatti, non vediamo e non ci domandiamo quale sia il percorso interiore delle persone che riteniamo di successo o, addirittura, arrivate. Ma arrivate... dove? Qual è il traguardo? Che cos’è il successo? “Successo è una brutta parola per un uomo”, diceva Pier Paolo Pasolini.

In altre parole, accanto a questo mondo aleatorio e realistico, pragmatico e tecnico, burocratico e quantitativo, esiste un percorso interiore di qualità, un processo di crescita interiore che conduce a un pensiero elevato, a un pensiero laterale, a un pensiero divergente. È un cammino esistenziale e politico che, per chi ha il coraggio d’intraprenderlo, offre sempre un riverbero intenso nel cuore e una maggiore consapevolezza di sé, degli altri, dell’invisibile. È un sentire civile e civico, culturale ed esistenziale, armonico e naturale, che dona senso e significato all’esistenza, che travalica il materialismo, da cui emerge la coscienza e da cui scaturisce anche l’ideale d’una Politica alta, con la P maiuscola. Perché la Politica è un’arte. La Politica, infatti, non soltanto vive d’una sua socialità e costruzione giornaliera, d’una sua visione e analisi quotidiana, di programmazione e di progettualità, ma anche d’una sua spiritualità, di lungimiranza, intuizione e illuminazione. È un discorso semplice, ma complesso. Non complicato. Non è un discorso complicato. Però, richiede tempo.

Fino a trent’anni si cresce, si sbaglia, s’inventa, si prova, si sperimenta. Poi, arriva quel fatidico momento, a trent’anni circa, in cui si crede d’aver imparato quasi tutto e d’aver capito come stanno davvero le cose. Siamo cresciuti, siamo adulti, anche se – giustamente – ci sentiamo ancora nel pieno della giovinezza. Ci sta. Va bene. A trent’anni, però, crediamo d’avere ormai le idee chiare e tutti noi pensiamo che il futuro sarà semplicemente l’evoluzione di quanto appreso o capito fino a quel momento. A 30 anni siamo convinti d’aver posto le basi per il nostro futuro e che l’avvenire sarà la costruzione che sapremo erigere a partire da quelle solide fondamenta. Anche perché le nostre cadute precedenti sono state davvero pedagogiche e hanno formato il nostro carattere. L’esperienza dei trent’anni ci ha insegnato un po’ di cinismo e ad affrontare con carattere le difficoltà, le persone, i nostri stessi errori.

Con un pizzico di superbia, allora, arrivati a quel determinato miglio del nostro cammino di vita, si ritiene di poter affrontare il mondo con alle spalle un consistente bagaglio di errori e di successi. Abbiamo, non a caso, conquistato le nostre certezze e crediamo così di poterle giocare, ormai senza timore, sul tavolo dell’esistenza, finalmente con slancio e disinvoltura. Insomma, ci sentiamo forti perché la paura è alle nostre spalle. Ed è proprio lì, invece, in quel momento, che può succedere davvero ma davvero di tutto! Tutto il meglio e tutto il peggio. E ne siamo noi gli artefici, nel bene e nel male, perché abbiamo il libero arbitrio. Dai trenta ai trentatré anni, infatti, proprio in quel frangente della nostra vita, in quei tre anni, emerge tutto il meglio e tutto il peggio di noi stessi. Di conseguenza, la superbia diventa il nostro sbaglio più grande, l’insidia più oscura, il nostro lato buio. Fino a trent’anni, in altre parole, si cresce e si vive la prima fase della vita nei modi e nei tempi che appartengono a ciascuno di noi, individualmente, nella diversità di ogni storia e di ogni singola persona, ciascuno con la propria identità e nella propria unicità. Poi, dai trenta ai trentatré anni, si attraversa – allo stesso tempo – l’apice e la crisi della nostra esistenza. Siamo all’apice e siamo, contemporaneamente, naufraghi di noi stessi nel mare indomabile dell’esistenza. Questi due aspetti, apparentemente opposti, in quel periodo della nostra vita, coesistono. Siamo stabili e siamo in bilico, siamo a un passo dal successo e, dall’altra parte, siamo sull’orlo del precipizio.

Dopo questa fase di crisi e di enormi potenzialità espresse in maniera imprevedibile, quindi, se siamo stati bravi, comincia un altro percorso, un cammino “altro”, più consapevole, sicuramente figlio del primo periodo, ma soprattutto figlio della svolta prodotta da quei tre anni di sconvolgimenti da cui impariamo, più rapidamente di quanto si possa immaginare, tutto quello che non avevamo capito fino a quel momento. In particolar modo, comprendiamo che c’è ancora tantissimo da imparare dalla vita e che, forse, fino a quel momento, della vita avevamo capito davvero poco. Quasi niente. E riscopriamo l’umiltà. Anzi, è la vita stessa che ci ricorda l’umiltà. Insomma, se siamo stati bravi, a 33 anni si perdono tutte le certezze e s’impara a navigare in mare aperto... si apre un altro mondo, un’altra vita. E cambiamo addirittura direzione. Anzi, siamo noi stessi a cambiare, a guardare le cose con altri occhi e iniziamo così a scorgere quello che prima, accecati dal materialismo e dalle apparenze, neppure vedevamo. Poi, nel corso del tempo, negli anni successivi, viviamo altre crisi e altri sconvolgimenti, come – ad esempio – a quarant’anni, ma il vero punto di svolta avviene a 33. Ovviamente, a quaranta, si tirano le somme e si tracciano i bilanci. A quel punto, a 40 anni, ciascuno ha la faccia che si merita. Dopo i 50, invece, di tutte le cose che inseguivi a 30 anni, non te ne importa più niente.

Aggiornato il 07 maggio 2024 alle ore 13:30