#Albait. Il 25 aprile e la liberazione

Il 25 aprile è alle porte. Nella migliore tradizione, l’Anpi comincia a lanciare segnali universali di pace, con strabismo venereo. Chiede pace subito e ovunque. Immagino il mite presidente Anpi avanzare il proprio indice lentamente, come nella Genesi della Cappella Sistina, e ordinare il proprio “fiat”. Senza risultati apprezzabili, però.

Se negli Stati Uniti nel 1942 fosse prevalso il fronte del “a noi Hitler non ha fatto niente”; o “pace subito e ovunque”, l’Anpi però non esisterebbe. Ma gli eredi dei partigiani di oggi non sanno cosa sia la guerra. Parlano di “imperialismo americano”. Ma se c’è un Paese poco imperialista è proprio l’America. La ragione è costitutiva: gli Stati Uniti nascono da una guerra d’indipendenza coloniale. Ma nonostante queste teorie bislacche, Anpi procede spedita. Uno dei problemi centrali per loro è sempre se la Brigata ebraica abbia diritto di partecipare alla marcia dei liberatori d’Italia. Secondo alcuni dirigenti dell’Anpi, gli eredi della Brigata ebraica possano marciare con loro. Immagino l’onore di camminare fianco a fianco con chi non riesce a condannare con convinzione l’anonima (mica tanto) sequestri palestinese. L’impressione da qualche anno è che, se potessero, creerebbero dal nulla una brigata palestinese del 1943.

Le tesi degli eredi di quel gran Muftì di Gerusalemme che chiese ad Adolf Hitler di accelerare lo sterminio ebraico, in marcia con i teorici eredi delle eroiche giornate di Napoli, Milano, Brescia, Genova e Roma-Porta San Paolo. Fa impressione anche a leggerlo. Senza andare troppo lontano, quegli eredi palestinesi sono anche quelli dell’attentato di Fiumicino, dell’uccisione del piccolo Stefano Gaj Taché, del sequestro della nave Achille Lauro, dei bombardamenti esclusivamente contro civili, secondo il principio più volte ribadito che qualsiasi ebreo (o complice degli ebrei) è un obiettivo legittimo, per loro.

Ci sono nervi scoperti che la cronaca di guerra rende dolorosi.

Dobbiamo ricordare bene: i pacifisti pelosi di un anno fa che chiedevano la resa Ucraina alla Russia e i giustificazionisti degli ostaggi di Hamas, sono gli stessi. Sottolineiamo anche la razionale confusione che essi fanno tra le parole Gaza e Hamas. Gaza è un luogo, Hamas un partito armato che si basa su un’ideologia totalitaria e convintamente genocida.

Nel nuovo statuto di Hamas del 2017 si legge, all’articolo 2: “La Palestina, che si estende dal fiume Giordano a est al Mediterraneo a ovest e da Ras al-Naqurah a nord a Umm al-Rashrash a sud, è un’unità territoriale integrale. È la terra e la casa del popolo palestinese. L’espulsione e l’esilio del popolo palestinese dalla sua terra e l’insediamento dell’entità sionista al suo interno non annullano il diritto del popolo palestinese all’intero territorio e non conferiscono alcun diritto all’entità sionista usurpatrice”.

Insomma, Israele non può esistere. Gli israeliani, anche gli arabi non palestinesi, par di capire, devono andarsene. Se restano, vanno massacrati. Come il 7 ottobre 2023. Ovviamente, la sola Hamas può certificare chi sia palestinese. Infatti inventa un Islam pre cristiano che non può esistere. All’articolo 3 Hamas infatti stabilisce che la Palestina è una terra che “occupa un posto speciale nel cuore di ogni musulmano”. Perché, non si sa.

Il professor Barbero ha affermato che non ci siano tracce archeologiche dei regni palestinesi ebraici. Ma credo risulti con certezza anche la totale assenza di Maometto nella Terra Santa. Per il resto, i profeti dell’Islam sono anche quelli dell’ebraismo e del cristianesimo. Sul piano storico-scientifico, non ci sarebbe la certezza dell’esistenza di Gesù. Poco importa. La fede è tale perché non richiede certezze materiali, solo spirituali. Superato il problema pseudo-scientifico, ricordiamo che ebrei, cristiani e musulmani bigotti hanno difficoltà a ricordare che condividono non solo i profeti, ma anche tradizioni religiose molto simili tra loro. E, se vogliamo dirla tutta, la condivisione si estende alle antiche religioni babiloniche ed egiziane.

Nell’area cristiana del mondo, fortunatamente laica, tutti sono liberi di credere quello che vogliono. Nell’Europa democratica è vietato ammazzare qualcuno per motivi religiosi o politici, limitare la libertà di donne, uomini, bambini, ed è tutelata la libertà degli orientamenti e delle identità sessuali, non per diritto di lista tassonomica, ma perché nessuno ha il diritto di entrare nel merito della vita privata dei cittadini. Si chiama libertà negativa, tecnicamente. Al contrario, nel mondo islamico non democratico, è consentita solo la libertà concessa dai capi di Stato e di governo, grazie alla sistematica distorsione del Corano e delle leggi che da quel libro si fanno discendere per interpretazione. Ovvio che i Paesi non democratici odino l’Europa. Basta leggere qualche giornale in lingua inglese del teoricamente laico Egitto per capire quanto il fastidio verso l’Europa sia forte. Ma non c’entra la religione. C’entra la voglia di gestire il potere senza contrappesi. L’Europa è un monito contro ogni assolutismo orientale. Eppure va ribadito che abbiamo una responsabilità. Noi sappiamo che il dispotismo orientale non è una camicia di forza obbligata dell’Islam. Se lo dichiarassimo apertamente, il peso che portiamo sarebbe molto più leggero. I totalitarismi di oggi utilizzano un mix confuso di religione, geografia, acrobazia politica, genetica per giustificare disegni politici repellenti che si basano sull’uso sistematico della violenza sia all’esterno che all’interno delle proprie aggregazioni di potere.

Il 25 aprile, Festa della liberazione, vuol essere trasformata da italianissimi ignoranti o in malafede in una giornata di difesa di quei totalitarismi. Fare confusione tra Islam e Hamas, Gaza e Hamas, Russia e Ucraina, Persia, Iran e gli ayatollah, ha un’unica matrice: la volontaria aggressione alla democrazia. L’Anpi non si nasconda nelle parole di qualche personalità invasata con contratto Onu, o anche senza. La Resistenza italiana è libertà e democrazia, che si uniscono nella Giustizia. La resistenza di oggi ha il compito di liberare dal totalitarismo la Russia e il Medio Oriente.

Per chi ha più tempo per leggere, aggiungiamo alcune note.

L’Islam è Maometto, il grande profeta. Maometto però, sul piano religioso, ribadì la parola del profeta che lo aveva preceduto e rispetta anche la misericordia di Maria, madre di Gesù. Ora, se l’evoluzione politica dell’Islam fosse stata simile a quella dei Paesi cristiani, Islam sarebbe tradotto con la parola pace e basta. Confondere Islam con la distruzione sistematica di chiunque non accetti tutte le pretese dei sostenitori del totalitarismo orientale è atto politico, non religioso. Le attuali difficoltà di rapporto tra le democrazie occidentali e il resto del mondo non dipendono dalla religione. La retorica anti occidentale è un costrutto politico, proprio dei tifosi del totalitarismo.

L’Islam non solo si basa sul rilancio della predicazione di Gesù, pacifica e tollerante in tutte le versioni, anche apocrife, ma anche sul rapporto diretto tra i fedeli e Allah. Il dio che ne deriva ha un nome diverso ma che ha le stesse identiche caratteristiche del nostro Dio e di quello ebraico. Oltretutto è lo stesso Dio, senza alcun dubbio, considerato che ha lasciato le medesime scritture e i medesimi comandamenti. È la fallacia umana che non consente certezze su chi abbia ragione, tra i sostenitori del Libro che noi chiamiamo Bibbia, alla quale musulmani e cattolici hanno aggiunto i vangeli.

L’assenza di un Papato autocratico e monarchico come quello cattolico fa sì che di versioni dell’Islam ce ne siano innumerevoli, tante quante sono i fedeli. Lo stesso non si può dire del cattolicesimo. Ovviamente, esiste anche una tradizione giuridica. Il diritto islamico si basa sugli hadith, raccolti nella Sunna, a sua volta derivata del Corano e che compongono la sharia.

Proprio a causa dell’assenza di un corpus stabile dell’Islam, la certezza del diritto islamico non esiste. Esistono grandi scuole, ma sono in concorrenza tra loro e questo spiega anche la facilità con la quale popoli e tribù dell’Islam arrivano facilmente a combattersi. Torniamo ora ad Hamas che rivendica per il popolo palestinese centralità nella Umma, che è un po’ il sinonimo della nostra ecclesia, intesa come assemblea dei fedeli. Questa visione è sicuramente una novità nella tradizione palestinese che qualche decennio fa era sicuramente laica e poco aveva a che fare con questa follia fondamentalista da Fratelli Musulmani che porta Hamas ad avere potere di vita o di morte su ogni “palestinese”.

Il popolo palestinese, nella visione di Hamas, viene fatto discendere direttamente dalle tribù di Mosè. In questo senso, potrebbero anche avere ragione. L’Islam in effetti discende anche da Mosè, come da Elia e gli altri grandi profeti, esattamente come il popolo ebraico, o noi cristiani. Ovviamente, a causa delle persecuzioni, il popolo ebraico tende ad essere un po’ più ‘etnico’ delle altre religioni monoteiste. La previsione che si è ebrei per maternogenesi, è un segno di questa etnicità. Eppure, se si considerano i fedeli ebrei di carnagione nera e quelli pallidissimi della mitteleuropa e di discendenza normanna, anche lì c’è poco da far affidamento sulla genetica. E infatti bisogna ricordare che se risaliamo di otto generazioni, siamo tutti cugini. E siamo tutti lo stesso popolo. Ma è bene ricordare che la genetica non c’entra assolutamente nulla con la fede musulmana. L’Islam è religione che si affida alle conversioni, aperta e comunitaria. Ed ecco quindi che è nuovamente dimostrata la profonda distanza, anzi la negazione delle pretese di Hamas che i suoi esponenti vorrebbero accampare. Se Hamas non ha nulla a che vedere con l’Islam che discende da Gesù e Maria, attraverso Maometto, perché si dà tanto credito ad una formazione militare che azzera diritti e libertà delle donne e tratta i bambini e gli anziani come martiri? Perché si giustifica il leader di Hamas quando dopo aver ordinato le violenze ingiustificabili del 7 ottobre in territorio israeliano afferma di aver bisogno delle sofferenze e del sacrificio di bambini, donne, anziani?

Semplicemente perché si accredita una tesi politica totalitaria. Siamo tornati al 1920, quando le democrazie furono vituperate, pur di accondiscendere ai desideri imperiali di Benito Mussolini, della Corona italiana, del Terzo Reich, del Giappone. A vituperarle furono gli stessi europei, con gli stessi argomenti che sentiamo oggi da una masnada di pseudo-intellettuali che si presentano a volte azzimati, ma che hanno la loro bocca impastata dal sangue passato e futuro di quanti vengono ammazzati in nome delle loro giustificazioni totalitariste.

La componente comunista fu marginalizzata, anche a seguito degli accordi internazionali. In questi ottant’anni abbiamo scoperto che i totalitarismi hegeliani non sono diversi da quelli ispirati da un uso disinvolto della religione o della purezza della razza. I totalitarismi vanno combattuti.

Le democrazie sono figlie della cultura occidentale? Certamente. Al pari della penicillina, del 90 per cento della tecnologia disponibile, dell’affermazione della libertà di parola. Possiamo andarne orgogliosi. Il dispotismo asiatico porta la certezza della morte, della fine della libertà di parola, della libertà di abbigliamento, della possibilità persino di toccarsi o salutarsi con un bacio sulla guancia o di comprarsi liberamente una rivista, o di accedere a internet.

La democrazia non è anti-islamica, né anti-cristiana o anti-buddista. Non è certamente anti-ebraica. La democrazia è a favore della libertà, all’interno di un sistema di regole che dobbiamo re-imparare a far funzionare. Con il giusto orgoglio perché sono nate grazie alla nostra cultura che ci ha fatto scoprire come la divisione dei poteri è necessaria per essere tutti più ricchi e felici.

Aggiornato il 11 aprile 2024 alle ore 13:19