Il ponte dei sogni e della realtà

Come tanti “esuli”, il luogo originario diventa nostalgia, e incantesimo quando pure a starvi non lo era. Al dunque, lasciata la Sicilia me la porto in me e ne ho ricordanze così fitte, minuziose e voglia di ritorno, magari qualche giorno, ma non so, preferisco non rivedere quanto mi darebbe malinconia abbandonare. E poi, ecco, troppi ricordi, e amici, congiunti ormai spariti. Mi sentirei straniero, e tuttavia. E tuttavia, eccomi, in fantasia, a Villa San Giovanni. Ormai il viaggio, da Roma, è decurtato nei tempi, quando tornavo da Firenze, dove studiavo, perfino 11-12 ore. Ma a Villa San Giovanni il viaggio finisce e non finisce, finisce la Penisola, inizia l’Isola. Vedo colline e spiagge della Sicilia, la “mia” città, Messina, della quale potrei segnare dettagli ventricolari. Quantunque nato a Catania ho vissuto sempre a Messina fino alla giovinezza.

Il mare si era già fatto scorgere, quel mare che non esiste altrove, lava liquefatta, spessa, corpulento, bluissimo, crestato di schiuma, dondolante, quello sì che è il mare, non l’acquetta sciapa, verginella, troppo limpida, di fontana, e poi la sabbia di pietruzze tonde, non rena che somiglia a polvere! A Villa San Giovanni il treno si ingorga, si addormenta, sosta, comincia un consistente fermoposta, così, come abbandonati. I minuti si aggiungono ai minuti, raggiunto il quarto d’ora, e il treno rimane spento, dimenticato. No! Improvvisamente uno scossone, qualcosa si muove, gli urti continuano, e il vagone dove siedo è trascinato. Quel che avviene è complicato, dobbiamo immedesimarci nel traghetto spezzando i vagoni, il treno viene scisso in moti continui, avanti, indietro, deposita una parte, ne trascina un’altra, finché quasi ci incaverniamo nel traghetto.

Ora attendo che sia il traghetto a staccarsi dagli ormeggi, ascolto finalmente la parlata messinese spesso meravigliosamente dialettale, ma il treno anzi il traghetto non “cammina”. No, anche stavolta vedo che un infisso del molo è sorpassato, siamo noi a muoverci, ed ecco finalmente sconfiniamo nell’aperto mare. Scappo. Voglio vederlo. Lo Stretto, il mare dello Stretto, torno in Sicilia (è tutto un sogno!), torno a Messina, il ponte, ecco la schiuma che la prua suscita spezzando il mare, ecco le colline e laggiù Messina, ecco Scilla, ecco Cariddi mostruosi. Certo che li vedo, ma vedo pure le sirene, sono figure ondose che si ergono, si sciolgono, si riformano e cantano, Ulisse, l’ho visto, era Lui, con un minuscolo equipaggetto, e incredibile ma vero, lo giuro. Dante, ho visto Dante sulla barchetta di Ulisse! Purtroppo, mi sveglio. Sono certo che avrei visto Polifemo lanciare macignoni.

Si discute del Ponte sullo Stretto. È fattibile, impossibile, non so, su questo non saprei dire. È utile, per accorciare i tempi, di sicuro, a dire dei competenti. Ma vi è ben altro: sarebbe uno spettacolo. Quand’ero ragazzino con i miei compagni andavamo al pilone di Messina e guardavamo il pilone della Calabria, non più di tre chilometri distanti. Da allungare la mano. Ma è concepibile che sia afflitto l’entusiasmo anche estetico delle grandi opere? A fantasticare il ponte notturno con le luci calabro-sicule sul mare tenebrosissimo! Gli antichi coniugavano l’utile con il bello, noi dobbiamo a tale vincolo quanto di strabiliante ereditiamo. È possibile non immaginare che sarebbe attraversare su di un ponte lo Stretto e scorgere i due lati del più denso e “storico mitologico” mare del mondo? In quanto a me, non tornerò a Messina se non fanno il ponte. Sciopero. Però, lo sogno.

Aggiornato il 06 marzo 2024 alle ore 16:30