Un Consiglio superiore di pacificazione?

A chi scrive non può che far piacere che il nuovo vice-presidente del Consiglio superiore della magistratura, l’avvocato Fabio Pinelli, abbia citato Rosario Livatino, indicando come manifesto della sua azione il richiamo fatto dal magistrato siciliano alla credibilità.

In effetti, le vicende che hanno devastato la precedente consiliatura, portando alla dimissione di alcuni consiglieri ed alla sottoposizione ad indagini di altri, testimoniano quanto sia necessario che l’organo di autogoverno della magistratura riacquisti autorevolezza. E l’autorevolezza si conquista con la capacità di assumere decisioni che rappresentino l’applicazione ai casi concreti dei principi astrattamente evocati, in modo trasparente e coerente. Questo contribuirebbe, in modo decisivo, a ricostruire innanzitutto il rapporto di fiducia dei magistrati nei confronti del proprio autogoverno. Ma vi è qualcosa che viene prima dell’autorevolezza e della credibilità ed in qualche modo ne è condizione. È lo stile istituzionale.

Da troppo tempo il Csm è stato percepito come un organo di difesa corporativa, in pregiudiziale conflitto con gli altri poteri; quasi a voler incarnare una sorta di strutturale impossibilità di dialogo con questi ultimi. In tale prospettiva, l’esito delle consultazioni elettorali svoltesi fra i magistrati e, ancor più, l’esito della votazione svoltasi al plenum con l’elezione dell’avvocato Pinelli, possono rappresentare una svolta anche sul piano, più in generale, dei rapporti fra le istituzioni.

Non pare revocabile in dubbio, infatti, che tale elezione costituisca un novum, dal momento che, per la prima volta, viene designato a presiedere il Csm (sia pure in vece del Presidente della Repubblica) una persona indicata da un’area politica ritenuta ostile alla magistratura. Il che può significare che, finalmente, si sta superando una mentalità secondo la quale vi sono forze politiche amiche dei magistrati ed altre nemiche. E che i rapporti con la politica vanno giudicati per quanto di buono quest’ultima riesce a fare nell’interesse dell’amministrazione della giustizia e del bene comune.

Insomma, l’elezione del nuovo vice-presidente del Csm è un indizio che, forse, anche in magistratura sono finalmente tramontate le ideologie.

Non solo. Mi pare di poter cogliere in quanto è accaduto ‒ ripeto, dall’elezione della componente togata in poi ‒ anche un desiderio di pacificazione, che non vuol dire non aver presente la crisi che vive la magistratura, ma che siamo dinanzi alla ricerca di un metodo nuovo, che non considera lo scontro come unica modalità di interlocuzione. Non so se l’avvocato Pinelli, al quale auguriamo buon lavoro, saprà conquistarsi la credibilità che ha opportunamente evocato.

So che se egli saprà imprimere all’azione consiliare, ad intra e ad extra, questo rinnovato stile istituzionale sarà un vantaggio per tutti, e non solo per i giudici. Perché la giustizia ‒ come ammoniva il beato Rosario Livatino ‒ non è un affare di pochi magistrati.

(*) Tratto dal Centro Studi Rosario Livatino

Aggiornato il 26 gennaio 2023 alle ore 18:23