La prima cosa bella

Come il brano di Sanremo anni Settanta, finalmente l’esecutivo di Mario Draghi batte un colpo e spedisce via Domenico Arcuri, sostituendolo col generale Francesco Paolo Figliuolo per il comando di un piano vaccinale che, fino ad ora, ha fatto acqua da tutte le parti. Verrebbe da dire meglio tardi che mai, se non fosse che nel mentre l’ex commissario non ne ha fatta una giusta e c’è da meravigliarsi che sia in sella a Invitalia dal 2007. Insomma, viene da chiedersi se finalmente sia giunto il tempo, anche in Italia, di passare a selezioni diverse sui manager di Stato. Non può bastare, ammesso che sia, l’appartenenza politica che pure conta, visto che ci sta a seguire la logica dello spoil system, ma seppure necessaria, non dovrà più essere condizione anche sufficiente per offrire cariche e poltrone di Stato indiscriminatamente. Servirebbe la meritocrazia, sempre e comunque.

Resta il fatto che aver pungolato l’esecutivo per un cenno di esistenza del cambiamento rispetto a Giuseppe Conte, almeno in parte ha funzionato, perché siamo convinti che certamente la critica chiara e vigile dia più risultati della manfrina accondiscendente e a prescindere. Ecco perché scriviamo la prima cosa bella del nuovo Governo, visto che fino ad ora è stato quasi tutto in continuità coi giallorossi, e visto che la sostituzione di Arcuri – seppure da applaudire – dovrà però significare solo l’inizio di altri cambiamenti, sia di passo e sia di persone nelle aziende e nei vertici di Stato. Il nepotismo che da noi hanno instaurato la Democrazia Cristiana e il Partito Comunista italiano, la sinistra erede di quel “criminale” di Palmiro Togliatti, è stato uno dei motivi per cui l’albero italiano si è piegato anche ad una prassi della democrazia molto lontana dalla meritocrazia, a cui purtroppo spesso anche il centrodestra con i suoi Governi si è allineato.

Insomma, non solo gli incarichi di Stato dovrebbe rispondere ad una logica di assoluta competenza ed esperienza, ma figuriamoci quelli più importanti e delicati, che in certi casi fanno la differenza, vale per la politica ma vale di più per l’Amministrazione. Pensate alla vergogna del “caso Palamara” nel mondo della giustizia. Per la politica vale, perché abbiamo visto coi gialloverdi prima e di più dopo con i giallorossi quanto un esecutivo mediocre e non all’altezza possa ridurre l’Italia al lumicino. Figuriamoci, dunque, se al fianco ci si mette una squadra di manager e di tecnici, di vertici aziendali strategici, altrettanto inadeguati. Basterebbe ripercorrere solamente gli ultimi 20 anni per capire, basterebbe pensare all’Inps, alla Rai, all'Alitalia, al Monte dei Paschi, solo per citarne alcuni e per estremo difetto, visto che gli Enti di Stato e para-Stato sono una immensità, spesso inutile e spesso in mano alle persone più inadeguate, con il solo merito di essere fidelizzate a questo o quel partito.

Lo spessore individuale dei politici come dei civil servant e manager è quello che fa la differenza in termini culturali, professionali e certamente umani. Inutile nascondersi, un po’ tutti abbiamo riconosciuto quanto il livello della politica e del suo mondo circostante sia scaduto negli ultimi anni. Ecco perché la scelta della classe dirigente, come di quella politica, dovrebbe sottintendere a logiche di spessore inequivocabile. È la ragione per cui tutti abbiamo applaudito all’arrivo di Mario Draghi, visto che di elezioni non si poteva parlare. È la stessa ragione per la quale in questi tre anni, con i gialloverdi e con i giallorossi, abbiamo sprecato colpevolmente tempo, opportunità, valanghe di denaro. L’ingresso poi dei grillini nelle stanze dei bottoni è stato un dramma autentico per il Paese.

Per non dire che nel primo e nel secondo caso anche le scelte per il Governo e vertici aziendali, fatte dalla Lega prima e dalla sinistra dopo, sempre coi grillini, non è stato certo felice. Basterebbe ricordare i tanti casi del tipo click day per capire. Ecco perché, soprattutto da Draghi, ci aspettavamo un segno di cesura rispetto a Giuseppe Conte, a partire dai ministri. Per esempio, nella Sanità gli sbagli di Arcuri fanno il paio con quelli di Roberto Speranza e dei suoi consulenti, per non parlare degli Esteri e degli sbagli di Luigi Di Maio, e così via. La nomina del generale Figliuolo, dunque, è la prima cosa bella e ci auguriamo che sia seguita da altre. L’Italia, del resto, di cose belle ha bisogno come il pane, dopo l’esperienza giallorossa, nei conti, nelle scelte, nei Dpcm, nelle nomine, nelle trattative con la Unione europea, nel contrasto al Covid. Quello che più serve è il vaccino della fiducia, della ripartenza, della serenità, della buona guida. Solo così potrà esserci una scossa, perché confermare anche in parte una squadra che ha fallito non funziona, è una carenza forte verso gli elettori costretti non solo a rinunciare al voto, ma a subire tecnici, politici, manager che hanno fallito. Per questo cambiare è una necessità, prima ancora di un dovere.

Visto che ora c’è Draghi, dal quale ci aspettiamo molto, senza esagerare perché la bacchetta magica non esiste, e assieme a lui c’è un pezzo importante del centrodestra, vigileremo affinché Figliuolo sia solo l’inizio di cose belle rispetto a prima sugli incarichi, sui cambi, sul fisco e le cartelle, sugli sbarchi illegali, sui vaccini, sugli investimenti, sulla spending review, sui sostegni al segmento produttivo, sui colori e sulle chiusure. Sbagliare è umano, perseverare è diabolico. Prendere in giro gli italiani è molto peggio, intelligenti pauca.

Aggiornato il 02 marzo 2021 alle ore 11:00