Cento e più decreti al giorno

Evviva. Prima o poi col metodo italiano la spuntiamo sul coronavirus e sulle sue conseguenze economico-finanziarie. Tutto sta nel non avere preoccupazioni di far troppi decreti e pare che in Italia questa preoccupazione non l’abbia nessuno. I decreti ce ne stanno a bizzeffe e poi se ne fanno altri diversi e contrari, non senza aver litigato per gli uni e per gli altri. Quando il virus sarà un ricordo, perché tutto finisce a questo mondo, nessuno sarà in grado di calcolare quante pagine e pagine di decreti, ordinanze, sentenze interpretative, modifiche giudiziarie, interventi delle Corti di Cassazione e Costituzionali fa un decreto cui si dà già il nome del giorno del mese prossimo in cui dovrà uscire però per rimanere in vigore un altro mese, ma non si riesce a darlo alle stampe che già è passata la prima e la seconda data. Se qualcuno di un altro pianeta vedesse quello che accade qua sentendo parlare di decreti e ordinanze, direbbe che sono i passatempi dell’umanità condannata a morte per chissà quale sciagurata violenza dell’epidemia.

E né oggi né domani troverete qualcuno che abbia la noia di questo coacervo di norme e addirittura sappia indicare, con qualche approssimazione, quante e quali esse siano.

Stato, Regioni, sindaci, tutti a sfornare le più stravaganti disposizioni. Si aprono i bar e qualcuno dovrebbe andare con la fettuccia metrica a misurare la distanza di un tavolo dall’altro. Poi veniamo a sapere dei tavoli che li stanno mettendo anche nelle strade. Con la propensione che hanno gli italiani, ma poi diciamolo tra noi, un po’ tutti i popoli, ad infischiarsene delle norme quanto più esse siano complicate e precipitosamente approvate per fare i propri comodi, c’è da ridere al pensiero di queste montagne di disposizioni che dovrebbero regolare le uscite di casa, le passeggiate, i viaggi, i passatempi degli italiani aggrediti dal coronavirus.

Più volte abbiamo inteso parlare di una seconda fase in cui questo popolo di eroi, di Santi e di navigatori e di pazienti tolleranti di governanti incapaci e rompiscatole, sarebbe stato rimesso in libertà a ricostruire e a ridar vita ad una nuova Italia, a metterne in atto la ripartenza per una nuova storia, che l’hanno promesso nella fase seconda già diverse volte poi invece che di una fase si trattava di una frase, di una modifica di qualche questione sulla quale la lite era in corso. È stato un finimondo quello creato dal comune calabrese che ha fatto a modo suo e ha aperto i bar, magari in attesa di un pubblico che non arrivava perché non poteva uscire di casa per mancanza di mascherine e di altre ammennicoli. Già, le mascherine. Per produrle devono uscir fuori gli operai e i lavoratori tutti armati di mascherina, ma la mascherina non si trova e sulla mascherina dovremo pagare l’Iva ed altre amenità. Questo è l’aspetto più crudele, in fondo, di questa sciagurata vicenda della pandemia: il fatto di produrre situazioni comiche di cui non possiamo goderci la qualità e l’effetto perché sembrano create per sfotterci.

Passerà, passerà anche questo ma non passerà, custodito chissà dove, il più terribile dei virus. Quello dei cretini, della cretineria e della prepotenza.

Aggiornato il 14 maggio 2020 alle ore 21:48