Un affezionato lettore de l’Opinione scrive alla redazione per avere lumi su un tema che ha recentemente scosso i media molto più di quanto abbia conquistato l’attenzione dell’opinione pubblica. Ecco la domanda: “Italia-Ungheria: confronto fra dittature durante l’emergenza Covid-19. Visto che in Ungheria i “pieni poteri” sono stati votati dal parlamento, mentre in Italia – de facto – il governo sta operando in un environment di “pieni poteri” senza che le altre istituzioni siano minimamente state interpellate. In quale, dei due paesi, democrazia e costituzione sono state tradite?”. Un’arguta provocazione, non c’è che dire. Di primo acchito, si potrebbe liquidare la questione con un laconico: in nessuno dei due. Tuttavia, il quesito richiede un approfondimento. Di certo il nostro lettore è consapevole di aver proposto un paralogismo, fallace nella premessa perché né l’Italia né l’Ungheria sono governate da dittature.

Perciò, non si può individuare chi sia “più tiranno” se, a monte, non vi siano due regimi dittatoriali a confrontarsi. Una forzatura argomentativa non del tutto addebitabile al nostro onesto lettore il quale è stato anch’egli vittima del conformismo intellettuale, in voga nell’Europa dei multiculturalisti e dei progressisti, per il quale non conta la verità, ma ciò che il mainstream politically correct stabilisce sia la verità. Ora, rappresentare il capo del Governo ungherese Viktor Orbàn alla stregua di un sanguinario tiranno è una stupidaggine. L’Ungheria è uno Stato di Diritto, indipendente e democratico. Dal 2012 è dotata di una nuova Costituzione, la “Legge fondamentale”, la quale all’articolo C (1° comma) dispone che “il funzionamento dello Stato ungherese si fonda sul principio della separazione dei poteri”.

La fonte del potere pubblico è il popolo (articolo B, punto 3). L’articolo I riconosce il rispetto per i diritti umani inviolabili e inalienabili e assegna allo Stato l’obbligo primario di proteggerli. Si potrebbe proseguire nel citare tutte le norme e i princìpi che confermano la piena e totale adesione dell’Ungheria all’Occidente democratico e libero. Eppure, a Bruxelles, si fa strada il sospetto che il governo ungherese, profittando dell’emergenza sanitaria, stia forzando la mano per assumere i pieni poteri. Nel mirino vi sarebbe la legge organica n. 12/2020 approvata dall’Assemblea nazionale ungherese alla fine del marzo scorso. Subito 8 Paesi membri Ue, poi divenuti 19, si sono affrettati a rilasciare una dichiarazione congiunta in cui si afferma che: “In questa situazione senza precedenti, è legittimo che gli Stati membri adottino misure straordinarie per proteggere i loro cittadini e superare la crisi. Tuttavia, siamo profondamente preoccupati per il rischio di violazione dei principi dello Stato di diritto, della democrazia e dei diritti fondamentali derivanti dall’adozione di determinate misure di emergenza”.

Il tratto pittoresco dell’iniziativa è che tra i firmatari compaia anche il Governo italiano, distintosi per le sospensioni delle libertà costituzionali a suon di “Dpcm” (Decreto del presidente del Consiglio dei ministri). Abbiamo letto con attenzione la legge incriminata, ma nei 10 articoli di cui si compone non abbiamo colto indizi di un colpo di Stato in corso. Il Governo di Budapest ha dichiarato lo stato di pericolo, che non è un’espressione letteraria ma un istituto giuridico regolato all’interno della “Legge Fondamentale”. La fonte normativa che legittima il Governo ad assumere misure straordinarie di sospensione o compressione dei diritti individuali dei cittadini in via temporanea è l’articolo 53, 1.comma della Legge Fondamentale che prevede: “Il Governo, nel caso di calamità naturale oppure di disastro industriale che metta in pericolo la sicurezza della vita o dei beni nonché per evitare le conseguenze degli stessi, dichiara lo stato di pericolo ed introduce misure straordinarie previste per legge organica”.

Nulla d’incostituzionale dunque, ma decisionismo nell’azione politica declinato nell’assoluto rispetto delle regole democratiche. Quel rispetto per l’Ordinamento giuridico che il Governo italiano non ha mostrato di avere decidendo motu proprio di comprimere le libertà individuali durante lo stato d’emergenza senza alcuna preventiva autorizzazione del Parlamento. Allora, ci si chiederà, perché tanto livore e voglia sanzionatoria dell’Europa dei “buoni” contro il “cattivo” Orbàn? L’establishment dell’Europa vincente non ha elaborato il lutto per non essere riuscito a “normalizzare” culturalmente l’Ungheria, nonostante il fiume di denari erogato dopo l’acquisizione all’Ovest del Paese che era stato parte integrante, dal settembre 1944, dell’area di potere dell’Unione Sovietica. Gli ungheresi hanno scritto sì una nuova pagina di democrazia e di libertà immortalandola nella Legge Fondamentale, ma vi hanno impresso lo spirito profondo e il carattere di popolo orgoglioso e fiero del proprio passato e delle proprie tradizioni.

Per comprendere cosa sia l’Ungheria post-sovietica bisogna leggere l’incipit dal preambolo alla Costituzione, che è titolato “Professione nazionale”: “Noi, membri della nazione ungherese, all’inizio del nuovo millennio, con senso di responsabilità per tutti gli ungheresi, enunciamo quanto segue: Siamo orgogliosi che il nostro re Santo Stefano mille anni fa abbia dotato lo Stato ungherese di stabili fondamenta ed abbia inserito la nostra Patria nell’Europa cristiana” e ancora “Dichiariamo che il quadro principale della nostra convivenza sono la famiglia e la nazione, che i valori fondamentali della nostra coesione sono la fedeltà, la fede e la carità”. Veleno puro per i multiculturalisti che avrebbero preferito trovarvi espressi concetti in linea con l’ideologia della globalizzazione. Orbàn non è l’uomo nuovo che capovolge il destino di una nazione ma è il figlio devoto di essa, il prodotto di quell’humus ideale-storico-tradizionale che è l’odierna Ungheria. Il peccato di presunzione dei padroni del vapore europeo non è stato quello di conquistare un mercato alla causa dei propri interessi economico-finanziari ma la pretesa di “cloroformizzare” l’identità del popolo ungherese, fondendola in un indistinto mondialismo neutralizzatore delle differenze.

Questa è la ragione per la quale ogni azione compiuta da Orbàn viene percepita in Europa come l’agire di un despota. Anche quando i suoi omologhi negli altri Stati (vedi il caso Giuseppe Conte) combinano di peggio. Ma Orbàn non è gradito anche a causa della sua inclinazione a prendere sul serio la riflessione sulla democrazia illiberale quale critica alla nuova frontiera della post-modernità. Qui la confusione regna sovrana e fa il gioco della narrazione progressista. L’equazione che condannerebbe Orbàn è così strutturata: negazione dei principi liberali = transizione dalla democrazia alla dittatura. Non è la realtà. Il problema sta nella sovrapposizione dell’idea liberale alla governance di un mondo globalizzato. Il passaggio è ben analizzato da Theodor Friedrich Klitsche de la Grange in un saggio dal titolo: Costituzione Ungherese e Stato di Diritto, reperibile su Internet. “L’espressione di Orbàn corrisponde alla realtà: di fronte ad un liberalismo depoliticizzato e anche de-democratizzato, la sua posizione è antitetica. Ma se, di converso, si va alla concezione del liberalismo “classico”, come dottrina della limitazione del potere, della tutela delle libertà politiche e civili, la conclusione è inversa. Anche se non si può dire, crocianamente, che Orbàn è liberale e non lo sa, è comunque meno illiberale di quanto pensi” (Klitsche de la Grange).

Il filosofo eurasista Aleksandr Gel'evič Dugin offre un’articolata rappresentazione dell’egemonia mondialista in Occidente, funzionale a inquadrare l’approccio negativo dell’establishment europeo al leader ungherese. Scrive l’ideatore della Quarta teoria politica: “Quando una società cerca di giudicare le altre, applica i suoi criteri, e così facendo compie una violenza intellettuale. Proprio questo atteggiamento costituisce il crimine commesso dalla globalizzazione e dall’occidentalizzazione” (A. Dugin, Contro il mondo postmoderno, in A. Dugin, Teoria del Mondo multipolare, 2019).

Tornando alla domanda del nostro lettore: non ci sono in circolazione nella vecchia Europa dittatori nello stile di quelli che hanno occupato gran parte della Storia del Novecento. Al più, come nel caso italiano, ci sono azzeccagarbugli che, avendo poche idee e molta confusione in testa, giocano con le norme dell’Ordinamento giuridico come certi scugnizzi di strada fanno con i petardi a Capodanno. I botti sono pericolosi ma per loro, gli scugnizzi, non sarebbe festa se non li facessero esplodere.

Aggiornato il 27 aprile 2020 alle ore 12:33