Fondati sulle manette

Che per la maggioranza più di sinistra della storia l’Italia sia una repubblica fondata sulle manette e sulla persecuzione fiscale giudiziaria è un fatto noto, anche perché la somma dei grillini coi postcomunisti e i cattocomunisti ha realizzato un combinato forcaiolo senza precedenti. Tanto è vero che sorprende la voce grossa, del can che abbaia ma non morde di Matteo Renzi, sulla prescrizione, non si capisce infatti perché l’ex premier anziché alzare polvere adesso non abbia subordinato l’appoggio al governo all’annullamento di quell’obbrobrio giuridico.

Se Renzi fosse stato in “Bonafede” a settembre avrebbe potuto dire: questo governo potrà nascere solo scrivendo coll’inchiostro indelebile che la prescrizione sarà abolita come primo atto dell’esecutivo. Al contrario l’uomo di rignano spergiurando ogni parola data ha consentito che nascesse un’alleanza ipocrita e perniciosa e facendo finta di non sapere a cosa andasse incontro, sulla giustizia, sulle manette fiscali, sul decreto sicurezza e compagnia cantante.

Ecco perché viene da sorridere a vederlo minacciare fiamme e fuoco sulla prescrizione e sulle garanzie costituzionali che tira in ballo a fasi alterne, visto che sulla Gregoretti fa il manettaro mentre sulle fondazioni e sulla legge Bonafede fa il garantista. Per farla breve non ci siamo, tanto è vero che siamo pronti a scommettere che l’ex segretario del Pd non solo non andrà alla crisi ma accetterà un compromesso del tipo salvo intese, che vorrà dire tutto e niente, pur di non tornare a spasso assieme agli alleati.

Perché sia chiaro se veramente Renzi avesse il coraggio e gli attributi per far cadere il governo non sopporterebbe sia le ironie su Angelino Alfano e Denis Verdini e sia quella specie di Porta portese che si è aperta sulla prescrizione per cercare di cambiarla senza cambiarla. Insomma su questo assurdo anticostituzionale, su questa norma da far impallidire Vishinsky e Torquemada, c’è solo un intervento da proporre, la cancellazione tout court e basta, tutto il resto è noia, come direbbe il grande Franco Califano, altroché mediazione di Giuseppe Conte per mettere una pezza a colori.

Oltretutto figuriamoci che mediazione potrebbe fare “Giuseppi” che è stato il primo a sostenere la linea tasse e manette, l’accusa politicamente ipocrita a Salvini sulla Gregoretti, l’indirizzo forcaiolo di un governo per il quale il garantismo esiste solo se riguarda sé stesso. Del resto se così non fosse la maggioranza ipocrita che sostiene l’esecutivo non avrebbe varato i provvedimenti che sappiamo, dalla finanziaria allo scudo su Mittal, alle accuse sulle concessioni, uno zibaldone da Repubblica fondata sulla colpevolezza anziché sull’innocenza.

Per non parlare della doppiezza di un’alleanza e dei grillini, che dopo aver sparato a zero sui Benetton ed esaltato le sardine a faro politico e morale, tacciono sulle foto opportunità delle scampagnate di studio a Treviso nella corte del capofamiglia Luciano, alla faccia della coerenza. La realtà è che siamo nelle mani meno affidabili di sempre, obbligati a sopportare un governo che se si votasse andrebbe a casa, sottoposti ad una maggioranza che nel Paese non esiste nemmeno da lontano, amministrati da chi ha giurato una cosa e ne ha fatta un’altra, l’abbiamo visto con l’Iva che ci ritroviamo ancora a compensare, le tasse che anziché scendere saliranno, la crisi dell’Ilva tutt’altro che risolta, con l’anno bellissimo che è finito in recessione e con la prescrizione che uccide il diritto e se ne buggera della Costituzione, ai posteri l’ardua sentenza.

Aggiornato il 03 febbraio 2020 alle ore 13:34