Dall’altra parte del tavolo

Canto sempre fuori dal coro. Perché, per me, essere moderato significa, prima di tutto, rispettare le leggi scritte. Tra cui quella iniziale. Un giusto ossequio per la democrazia e le sue rappresentanze. La prima è quella del presidente della Repubblica che ha adempiuto (nel caso specifico della nascita del governo Conte 2) tutto e per intero il proprio dovere di ufficio, rimediando pure alle forzature – anche di procedura –  che anche erano state compiute nella creazione del precedente Conte 1: a partire dal rispetto dei tempi (fatti scorrere su misura, nonostante interruzioni e bizzose necessità del partito di maggioranza relativa che già era noto per aver filmato in proprio – salvo poi ridicolizzarli – i presidenti  del Consiglio prima incaricati) e dalla cucitura di un impegnativo collage tra le due forze maggiori, che pure si erano presentate come alternative nelle elezioni 2018.

Eppure c’è chi pedissequamente sottolinea che questa volta Mattarella avrebbe forzato, non già in precedenza. Non risponde al vero: con il Conte 1 si era forzato, non ora. A questa critica iniziale ne vengono aggiunte, di conseguenza, altre. Precisamente ad opera di coloro che già erano ministri del precedente governo e su cui sorvoliamo per pudore. Perché essi sono stati un pessimo esempio educativo per i nostri giovani e pure per tutti noi. Con questo governo (che, peraltro, è del tutto rispettoso della volontà popolare), che nasce pure da un’alleanza tra due partiti che si erano dichiarati alternativi, si è quasi subito migliorato il livello di affidabilità estera dell’Italia: plasticamente raffigurata dalla ormai certa nomina di Paolo Gentiloni nella Commissione europea con un incarico di rilievo. Un accadimento che non avrebbe potuto vedere certo la luce ove il sovranista padano avesse continuato a tirare le fila di un esecutivo di fatto antieuropeo, condizionato e condizionabile.

Con la “maggioranza Orsola” (copyright Prodi), invece, pare essersi ripresa la via il rientro dell’Italia nel tavolo che conta, a livello continentale: su cui si giocherà una partita importante, quale quella, ormai non più eludibile, della riscrittura di regole troppo soffocanti.  E dall’altra parte del tavolo? Ci dovrebbe essere, finalmente, un quadro più comprensibile del fronte alternativo: con Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni a raffigurare la destra doc; con Forza Italia di Silvio Berlusconi a inverare la costola nazionale del Ppe e con la Lega di Salvini a rappresentare... Matteo Salvini.

Ciò, temo, finirà per non significare proprio nulla agli elettori, posto che quel lavoro lo ha bloccato a metà strada dopo la pratica crisi identitaria della Lega Nord, e pure della sua personalità territoriale precisa (quella settentrionale padana), con la sostituzione di un Umberto Bossi ormai “groggy” e l’annacquamento della battaglia federalistica che aveva animato gli entusiasmi non solo padani.  Se Matteo non riuscirà a definire in fretta il suo nuovo profilo politico temo proprio che si ritroverà con un pugno di mosche in mano.

Aggiornato il 09 settembre 2019 alle ore 13:28